Skip to main content

Cosa serve all’Ue dopo le scintille Trump-Zelensky. Scrive l’amb. Castellaneta

L’Europa è in mezzo a una serie di dilemmi esistenziali rispetto al proprio futuro: è il momento di decidere cosa diventare da grande. L’analisi dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta

Dopo lo scontro verbale, quasi fisico, andato in scena ieri sera alla Casa Bianca con una intensità mai vista nel recente passato, come un fuori scena carpito e invece coscientemente e forse sapientemente offerto davanti alle telecamere di tutto il mondo, tre anni di guerra sono stati cancellati insieme a fiumi di parole sul rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale, della inviolabilità delle frontiere di Stati sovrani e a decine di migliaia di morti da entrambe le parti.

Si ricomincia da capo, dal momento dell’ingresso di truppe russe in territorio ucraino e dalle reazioni compatte, tre anni fa, di condanna da parte del mondo occidentale, dei Paesi dell’Unione europea, del Regno Unito e degli Stati Uniti d’America.

Al di là dei giudizi di merito (si è trattato di un incontro mal preparato dai rispettivi team diplomatici o di una trappola deliberatamente ordita dal presidente americano Donald Trump e dal suo vice JD Vance, già schierati due contro uno, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky) su questo vertice che non risponde certamente ai principi e alle prassi che vengono insegnati in qualsiasi accademia diplomatica, sembra ormai chiaro che fra Trump e Zelensky il secondo sembra destinato a soccombere e che il suo destino sarà politicamente segnato se dovesse perdere il sostegno degli Stati Uniti.

Rimane, tuttavia, aperta la questione – da affrontare con urgenza – di trovare un modo per portare la guerra tra Russia e Ucraina a una conclusione. Anche perché questa crisi internazionale, che si svolge in territorio europeo, è collegata alle altre come le tessere di un domino. In questo momento drammatico che sta vedendo crearsi una frattura all’interno del mondo occidentale, la questione dei dazi commerciali minacciati dagli Stati Uniti nei confronti dell’Unione europea rientra nella stessa cornice.

In questo momento, l’Unione europea e i leader dei suoi Stati membri dovrebbero innanzitutto mantenere calma e sangue freddo in attesa di sapere, per esempio, come l’offensiva commerciale della Casa Bianca colpirà le esportazioni europee. La tariffa aggiuntiva del 25% colpirà solo alcune categorie di prodotti (come, per esempio, quelle che fanno più male all’economia americana come automobili e componenti) oppure sarà imposta in maniera trasversale su tutti i beni importati al di là dell’Atlantico?

È anche attorno a queste possibilità che i singoli Stati stanno cercando, attraverso le loro attività di lobbying, di salvarsi dalla furia mercantilista di Trump; eppure, i leader europei – anche Giorgia Meloni, presidente del Consiglio – dovrebbero tenere presente che la strategia del divide et impera è proprio quella che il presidente americano cerca di perseguire per avere facilmente la meglio su 27 Stati divisi. Si lasci dunque lavorare la Commissione europea, titolare della politica commerciale, sostenendone l’azione con un approccio unitario e non egoista. Le guerre commerciali, come del resto le sanzioni economiche, sono solo servite a procrastinare i problemi e in molti casi solo ad aggravarli, con danni per tutti, dai sanzionati ai sanzionatori.

Su questo problema, che rischia di compromettere seriamente la crescita globale e di penalizzare ulteriormente la già fragile economia europea (zavorrata da una Germania in recessione, di cui anche l’Italia sta facendo le spese), si innesta poi quello della difesa comune. Difficilmente il summit in programma domani a Londra darà delle risposte che consentano un rapido passo in avanti: i nodi da sciogliere sono infatti molti, includendo senz’altro quello economico (chi paga le maggiori spese che si renderanno necessarie?) ma anzitutto quello politico. Infatti, l’eventuale difesa comune europea che dovesse nascere in futuro come si porrà nei confronti della Nato? Si integrerà nell’alleanza atlantica, oppure sarà un’entità parallela che potrebbe dunque godere di una vera e propria autonomia ma anche perseguire obiettivi potenzialmente divergenti rispetto a quelli Nato? Come verrà condivisa la forza nucleare francese e anche quella britannica? Quale sarà la catena di comando, politica e operativa, che indicherà gli obiettivi militari e che opererà per l’indispensabile armonizzazione della industria della difesa e dei suoi prodotti inclusi quelli spaziali e dell’intelligenza artificiale?

Si tratta di questioni di base che pongono l’Europa in mezzo a una serie di dilemmi esistenziali rispetto al proprio futuro. Si è detto molto negli scorsi anni che era giunto il momento per l’Unione europea di decidere cosa diventare da grande, forse anche un po’ a sproposito e in maniera retorica. Ora, invece, questo momento sembra davvero arrivato. In una fase internazionale dove gli Stati Uniti potrebbero decidere di abbandonarci al nostro destino, mentre la Cina resta a guardare sulla riva del fiume in attesa di approfittare di questa situazione potenzialmente distruttiva per l’Occidente, il Vecchio Continente e i suoi Stati sono chiamati a prendere in mano il proprio futuro cercando di mettere da parte – per quanto possibile – interessi di parte e veti reciproci. Altrimenti, come insegna la teoria dei giochi, il risultato sarà una somma negativa non solo per noi europei ma per il mondo intero.


×

Iscriviti alla newsletter