Un’Europa che negli ultimi anni si è “un po’ persa” è una certificazione che si ritrova non solo nelle parole del vicepresidente americano JD Vance o nelle risposte di Meloni al Ft, ma anche nel rapporto di Mario Draghi sulla competitività (e non solo) dell’Unione europea. “Trump non critica gli europei, ma la classe dirigente”, dice Meloni
Non è un caso che per la prima intervista sulla stampa estera in due anni e mezzo a Palazzo Chigi Giorgia Meloni abbia scelto il Financial Times, ovvero il punto di riferimento di vaste aree liberali a cui ha affidato una serie di riflessioni caratterizzate da una certezza granitica: non si sceglie tra Usa e Ue. E dirlo all’indomani di un vertice che ha visto nascere una proposta militare su cui non c’è ampio riscontro (Macron ha detto testualmente: “Non ci serve la condivisione con gli altri Stati membri”) assume un’importanza maggiore, perché inserisce il tema della diplomazia e della realpolitik in un momento caratterizzato da forti tensioni anche emotive, causate da due dossier come Ucraina e dazi.
Il sentimento atlantico
Punto di partenza della tesi meloniana, ribadita nell’intervista al Financial Times, ma di pubblico dominio ormai da settimane, è che non sarebbe utile a nessuno scavare un solco tra Usa e Ue. Per questa ragione sceglie l’epiteto “infantile” e “superficiale” quando tocca il tema della eventuale scelta tra i due blocchi, invece il premier italiano precisa che farà tutto il necessario per difendere gli interessi dell’Italia e, al contempo, incarnare il prezioso ruolo di pontiere tra le due sponde dell’Atlantico in un clima di collaborazione e non di contrapposizione. Il premier, che ha appena raggiunto il quinto posto nella classifica dei governi più longevi della storia repubblicana italiana, ribadisce di non vedere Trump come un avversario ma di voler continuare a rispettare il “primo alleato” dell’Italia.
Roma e Washington più unite
L’assonanza politica è un ulteriore elemento che unisce Roma e Washington: “Io sono conservatrice – afferma – Trump è un leader repubblicano. Sicuramente sono più vicina a lui che a molti altri, ma capisco un leader che difende i suoi interessi nazionali e io difendo i miei”. Ma sempre in una cornice narrativa e valoriale caratterizzata dal sentimento atlantico e non di rupture come altri stanno cavalcando in questi mesi (senza riflettere sulle conseguenze geopolitica che comporterebbe un’Europa distante dagli Stati Uniti). Per cui un’Europa che negli ultimi anni si è “un po’ persa” è una certificazione che si ritrova non solo nelle parole del vicepresidente americano JD Vance o nelle risposte di Meloni al Ft, ma anche nel paper steso da Mario Draghi sulla competitività (e non solo) dell’Unione europea. “Trump non critica gli europei, ma la classe dirigente”, dice Meloni.
Il dibattito sull’Ucraina
Molti sono i dubbi inoltre sull’iniziativa franco-britannica, che lo stesso Emmanuel Macron ha definito una mossa su cui non c’è condivisione, e che tra l’altro sarebbe posta in essere da un consorzio in cui uno dei due soci (Londra) non è neanche uno stato membro. Quando Meloni continua a predicare prudenza lo fa perché ragionevolmente “questa forza può essere vista più come una minaccia”. Il Ft aggiunge che “a differenza di molti altri leader europei la premier italiana si è detta fiduciosa in merito agli sforzi dell’amministrazione Usa per raggiungere una pace giusta per Kyiv pur sottolineando continuamente la necessità di forti garanzie per assicurare che la Russia non riprenda la guerra in futuro”. Un tema che si somma alla proposta sulle garanzie avanzata da Meloni sin dal vertice londinese e ripresa dall’inviato speciale americano Steve Witkoff, accanto alla speranza del premier italiano relativamente al coinvolgimento di una delegazione americana al prossimo incontro di coordinamento tra i paesi membri Ue.
Garanzie, sicurezza e Nato
Estendere quindi all’Ucraina l’art 5 del trattato Nato sarebbe per il presidente del consiglio una soluzione “più efficace” rispetto alle proposte scaturite dal desco parigino. Una considerazione che secondo il ragionamento italiano si deve legare a doppia mandata al superamento delle attuali tensioni tra Usa e Ue perché, semplicemente, è nell’interesse di tutte le parti in causa. Ecco la ragione di fondo per preferire toni concilianti e non riottosi su dossier interconnessi, come la Nato, il nuovo ruolo degli Usa nell’alleanza, la difesa del futuro e la sicurezza che andrà costruita già da oggi: “Mi piace pensare che una crisi nasconde sempre un’opportunità”, aggiungendo un auspicio: che l’approccio “conflittuale” sulla difesa europea si trasformi in uno “stimolo necessario per il Continente” ad assumersi la responsabilità della propria sicurezza, quindi farsi finalmente grande e in grado di camminare da sola.
Il caso dazi
Arrivata la conferma di tariffe al 25% sull’importazione di prodotti europei in Usa, secondo Meloni è giunto anche il momento di spiegare la protogenia del provvedimento che non nasce con Trump ma molto prima. Per questo cita a supporto l’Inflation Reduction Act dell’ex presidente Usa Joe Biden, per dimostrare che da anni gli Stati Uniti inseguono un’agenda sempre più protezionistica: “Pensate davvero che il protezionismo negli Stati Uniti sia stato inventato da Donald Trump?”, si chiede nell’intervista.