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Accordo sui minerali, cosa vuol dire il memorandum firmato da Kyiv e Washington

Sbloccando la situazione, Ucraina e Stati Uniti firmano un memorandum d’intenti sulle risorse naturali. Il documento rappresenta un segnale politico, ma l’accordo definitivo resta incerto. A preoccupare Kyiv sono le condizioni imposte da Washington e l’assenza di garanzie di sicurezza

Dopo settimane di stallo diplomatico, Ucraina e Stati Uniti ricominciano a registrare progressi riguardo alla questione del cosiddetto “accordo sui minerali”. Nelle scorse ore i due attori hanno firmato un memorandum d’intenti che punta a creare un fondo congiunto per attrarre investimenti nelle risorse naturali e negli asset energetici ucraini. La firma, che è avvenuta virtualmente, è stata salutata come un “passo costruttivo” da entrambi i governi.

“Non è ancora il contratto vero, ma è il segnale delle nostre intenzioni comuni”, ha commentato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in conferenza stampa, sottolineando il clima di apertura che ha permesso di ricominciare a portare avanti un dialogo tutt’altro che semplice.

Dal versante statunitense l’ottimismo è marcato. Durante l’incontro con il primo ministro italiano Giorgia Meloni, il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che la sua amministrazione intende firmare l’accordo completo sulle risorse naturali e gli asset energetici giovedì prossimo. Il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent si è mostrato relativamente più cauto, affermando che il testo definitivo dell’accordo potrebbe essere stilato entro il 26 aprile, in occasione della visita a Washington del primo ministro ucraino Denys Shmyhal.

Kyiv mantiene invece una certa cautela, e si riferisce al memorandum d’intenti come ad una semplice dichiarazione di avanzamento dei negoziati, che poco ha a che fare con il raggiungimento di un accordo sul testo definitivo. Anche perché, una volta finalizzato, l’accordo nella sua forma finale dovrà superare lo scoglio della Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, dove non mancano le voci critiche.

Rimane comunque innegabile il fatto che gli sviluppi siano stati marcatamente positivi, e che la firma virtuale di questo memorandum suggerisce un riallineamento tra i due attori coinvolti, il cui rapporto negli ultimi mesi è stato tutt’altro che rilassato, di cui lo scontro in diretta mediatica avvenuto pochi mesi fa alla Casa Bianca (dove Zelensky si era recato proprio per firmare l’accordo sui minerali) è soltanto un esempio.

Poche settimane fa si era tornati a parlare della questione, ma le prospettive non sembravano essere particolarmente ottimistiche. La bozza inviata dagli Stati Uniti, a cui il Financial Times è riuscito ad avere accesso, includeva clausole estremamente invasive: controllo su petrolio, gas e altri minerali, e la creazione di un consiglio di supervisione con diritto di veto statunitense. Tutto questo senza offrire in cambio alcuna garanzia di sicurezza per l’Ucraina. Non stupisce dunque che l’offerta abbia fatto scattare l’allarme tra gli alti funzionari ucraini, preoccupati per un possibile squilibrio nella sovranità nazionale e per il rischio che i profitti venissero in larga parte assorbiti da soggetti stranieri. In risposta alla proposta di Washington, il governo di Kyiv ha ingaggiato lo studio legale americano Hogan Lovells per supportarlo nella rinegoziazione delle condizioni, affidando la questione alla vicepremier e ministra della Giustizia Olha Stefanishyna.


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