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La Cina minaccia i suoi partner. I dazi psicologici del Dragone

Forse messo alle corde dopo settimane di corpo a corpo con gli Stati Uniti, adesso il Dragone gioca la carta psicologica, minacciando i vicini di casa e facendo leva sulle sue mastodontiche importazioni. Tenete a distanza gli Stati Uniti o saranno guai, è il messaggio. E Trump apre il fronte dei pannelli solari

La prima sensazione è quella di una minaccia. E, forse, è proprio così. La Cina, messa alle strette da dazi al 145% sulle importazioni verso il mercato americano e con lo spettro, probabilmente quasi una certezza, di tariffe oltre il 3 mila % sui pannelli solari prodotti nel sud-est asiatico, gioca la carta psicologica per tentare di piegare il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Il ragionamento di Pechino è semplice: il Dragone è ancora la seconda economia globale ma, soprattutto, importa beni un po’ dappertutto. Questo dà alla Cina un potere di moral suasion piuttosto forte. E chi non ha le spalle larghe, i Paesi africani indebitati ne sanno qualcosa, rischia un crollo di nervi.

E così, nell’armamentario della guerra commerciale, entrano anche gli avvertimenti, sotto forma di pizzini. Pechino ha in tal senso messo in guardia i suoi partner commerciali dal cedere alle pressioni degli Stati Uniti per isolare la Cina nello scontro tariffario. Commentando i recenti resoconti dei media sui piani dell’amministrazione Trump di fare pressione sui Paesi affinché limitino, a loro volta, gli scambi commerciali con la Cina in cambio di esenzioni dai dazi statunitensi, un portavoce del ministero del Commercio cinese ha chiarito come “l’appeasement non porta la pace e il compromesso non guadagna rispetto. Cercare un interesse personale temporaneo a spese degli altri, in cambio di cosiddette esenzioni, è come chiedere la pelle a una tigre. Alla fine, non otterrà nulla e danneggerà sia gli altri che se stessa”.

Tradotto, “la Cina si oppone fermamente a qualsiasi accordo raggiunto a scapito dei propri interessi. Se dovesse verificarsi una situazione del genere, la Cina non l’accetterà e adotterà risolutamente contromisure reciproche”, ha aggiunto il portavoce. Un avvertimento, che forse cela anche una paura di fondo, giunto subito dopo l’offensiva del leader cinese Xi Jinping nel Sud-est asiatico, dove ha presentato la Cina come un partner affidabile e un fermo difensore del commercio globale. La pressione, da parte cinese, è aumentata sia sui Paesi che sulle aziende nel tentativo di trovare un equilibrio tra le due superpotenze economiche, che si sono imposte reciprocamente tariffe record in una lotta in rapida escalation che ha sconvolto i mercati globali, interrotto le catene di approvvigionamento e alimentato i timori di recessione.

Certo, probabilmente ad alzare il livello dello scontro, suscitando la reazione rabbiosa della Cina, ha contribuito anche l’ultima spallata americana, in materia di dazi. Gli Stati Uniti, come detto, si preparano ad aumentare i dazi sui prodotti di energia solare provenienti da quattro nazioni del Sud-Est asiatico, potenzialmente di oltre il 3 mila % in alcuni casi, nell’ambito della loro stretta sulla presunta concorrenza sleale. Il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha reso noti gli importi definitivi delle tariffe sui pannelli solari (assemblati in moduli e non) provenienti da Cambogia, Malesia, Thailandia e Vietnam, a seguito, attenzione, di un’indagine sulle aziende solari cinesi che avrebbero eluso le tariffe statunitensi spedendo le loro merci negli Stati Uniti attraverso questi quattro Paesi.

E persino sul dollaro la Cina ha aperto, anzi riaperto, un fronte. La banca centrale ha dichiarato di voler incoraggiare le imprese statali a dare priorità all’uso dello yuan nei pagamenti e nelle transazioni nell’ambito della loro espansione all’estero, in quello che è visto come un tentativo ufficiale di accelerare l’internazionalizzazione dello yuan nel contesto dell’intensificarsi delle tensioni commerciali globali.


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