Lo scorso anno l’Italia ha registrato un forte incremento nell’export della difesa, raggiungendo i 7,6 miliardi di euro. Dietro questo dato si intravede una strategia articolata che combina diplomazia, cooperazione industriale e proiezione geopolitica. Non solo vendite, ma strumenti di policy che rafforzano la presenza italiana in aree strategiche e consolidano alleanze internazionali
Nel 2024, l’export della difesa italiana ha toccato quota 7,6 miliardi di euro in autorizzazioni, un incremento del 57% rispetto al biennio precedente. Un dato che fotografa, oltre i numeri, una traiettoria strategica ben più ampia: la capacità dell’Italia di proiettare influenza e costruire relazioni solide attraverso una filiera industriale avanzata, integrata e sempre più connessa agli interessi geopolitici nazionali.
Dietro le cifre – diffuse in questi giorni dalla Relazione governativa annuale sull’export militare – si coglie una continuità politico-industriale che attraversa le ultime legislature. Non si tratta soltanto di vendite, ma di strumenti di politica estera complementari alla diplomazia tradizionale, utili a rafforzare la presenza italiana in aree-chiave del Mediterraneo allargato, nel Golfo e nell’Indo-Pacifico.
A trainare l’incremento sono, in particolare, i sistemi complessi – piattaforme navali, aerospaziali, sensoristica, integrazione elettronica – e le collaborazioni industriali con Paesi alleati o partner strategici. Tra i principali destinatari delle esportazioni figurano il l’Indonesia, la Francia, la Nigeria, la Germania e il Regno Unito, senza dimenticare gli Emirati, con cui l’Italia ha recentemente sottoscritto accordi per aumentare la cooperazione in ambito difesa e sicurezza.
Non è un caso che le commesse più rilevanti siano maturate in contesti di dialogo costante e coordinamento politico-diplomatico. In particolare, gli Emirati Arabi Uniti rappresentano uno snodo cruciale della presenza italiana nel Golfo, anche alla luce della cooperazione navale e dei progetti industriali in corso. La Germania, in quanto partner europeo e atlantico, si conferma invece come interlocutore privilegiato nei programmi congiunti e nella condivisione di standard tecnologici.
In questo senso, il comparto della difesa si configura come leva tecnologica, strumento di policy, ma anche moltiplicatore di soft power. Come sottolineano fonti istituzionali, “le autorizzazioni all’esportazione vanno lette nella cornice di relazioni bilaterali articolate, dove la dimensione industriale è parte di un ecosistema diplomatico, di sicurezza e tecnologico”. Un linguaggio che ben si allinea al concetto di sicurezza cooperativa promosso anche in ambito Nato e Ue.
Un altro elemento interessante è la crescente convergenza tra export e programmi congiunti, dove l’Italia si propone non solo come fornitore, ma come partner affidabile nella progettazione e nella produzione. La logica non è più quella del mero scambio commerciale, bensì della costruzione di architetture strategiche condivise sul lungo termine, a loro volta foriere di una maggiore rilevanza del Paese nei consessi internazionali.
Questo approccio è rafforzato anche dal crescente impegno dell’Italia nei teatri multilaterali. La partecipazione a missioni internazionali e coalizioni contribuisce a consolidare la credibilità dell’industria nazionale – pubblica e privata – come parte integrante del sistema-Paese. Ne deriva una sinergia tra politica estera, capacità industriale e proiezione strategica che appare sempre più strutturale.
L’evoluzione in corso non è esente da interrogativi – il dibattito parlamentare sul tema è vivo – ma ciò che emerge con chiarezza è la progressiva maturazione dei rapporti industriali come strumento di influenza non coercitiva. Un soft power che passa, sì, anche per la tecnologia militare, ma che si declina in termini di cooperazione, interoperabilità e condivisione di standard.