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Dazi, se Trump punta (anche) i farmaci. Tutti i rischi sul piano globale

L’estensione dei dazi anche ai farmaci scuote l’equilibrio globale e apre una nuova fase nel braccio di ferro made in Usa. Una scelta che rischia di compromettere l’accesso alle cure, colpire duramente l’industria farmaceutica italiana e ridisegnare gli equilibri geopolitici a favore di altri Paesi

Nel pieno del braccio di ferro commerciale (anche) con l’Europa, Donald Trump ha fatto cadere l’ultima illusione: i farmaci non saranno esentati. Dopo aver più volte rassicurato su una possibile esclusione dei prodotti sanitari dalla lista dei dazi, il presidente americano ha annunciato l’estensione delle tariffe doganali anche al settore farmaceutico. La notizia, arrivata come una doccia fredda a mercati già nervosi, ha generato un’immediata reazione: Borse in picchiata e allarme rosso per l’industria europea — con l’Italia in prima linea.

I NUMERI

I dati parlano chiaro: i prodotti farmaceutici rappresentano il 22,5% dell’export europeo verso gli Stati Uniti, che da anni è il primo mercato di destinazione per il comparto. Per l’Italia il legame è ancora più diretto: più della metà della produzione è destinata all’estero, e circa un quarto di questa va proprio oltreoceano.

Secondo le stime di Farmindustria, le misure protezionistiche annunciate da Trump potrebbero tradursi in un impatto da 2,5 miliardi di dollari per l’Italia. “Serve una risposta politica, e l’Europa deve giocare da protagonista”, aveva riferito pochi giorni fa proprio il presidente dell’Associazione delle imprese del farmaco, Marcello Cattani, quando quella dei dazi sembrava ancora un’ipotesi. Ma per farlo serve tempo, e quel tempo oggi potrebbe non essere abbastanza.

ACCESSO ALLE CURE

Oltre all’impatto economico, l’estensione dei dazi potrebbe avere ripercussioni molto gravi anche sull’accesso alle terapie. Gli Stati Uniti, oggi dipendenti dalle importazioni per una percentuale dei loro medicinali rischiano di trovarsi di fronte a una carenza di farmaci salvavita. Basti pensare, ad esempio, ad alcune tipologie di vaccino o di farmaci antivirali, o alle terapie oncologiche, che arrivano negli Usa in gran parte dall’estero. “I dazi finiranno per danneggiare prima di tutto i pazienti americani”, ha sintetizzato Stefano Collatina, presidente di Egualia, l’associazione che riunisce i produttori di generici e biosimilari. Non si può inoltre non considerare che, alcuni di questi, potrebbero subire un’impennata dei prezzi, gravando ulteriormente sul sistema sanitario. “Se dovessero esserci i dazi sui farmaci, sarà una sconfitta innanzitutto per gli Stati Uniti”, ha commentato pochi giorni fa Cattani. “Ci sarà una possibile carenza di medicinali – ha aggiunto – un aumento dei costi e, soprattutto, un effetto domino che sposterà gli investimenti in ricerca e innovazione in Cina. E non crediamo che questo sia interesse degli Stati Uniti”.

IL RISCHIO PER L’ITALIA

Ma i pericoli non riguardano solo Washington. Anche l’Italia rischia di pagare un prezzo altissimo se i dazi entreranno in vigore. La nostra industria farmaceutica, fortemente internazionalizzata, ospita numerosi stabilimenti di multinazionali che hanno scelto di investire nel Paese grazie alla qualità della manodopera, alla rete logistica e al know-how tecnologico. Se però le condizioni competitive venissero meno – complici proprio le nuove tariffe statunitensi – queste aziende potrebbero scegliere di riportare la produzione negli Usa, più protetti e incentivati. Un simile scenario aprirebbe una fase di disinvestimento con effetti pesanti sull’occupazione, sulla filiera della ricerca e sull’indotto, già oggi in forte trasformazione. L’Italia rischierebbe così di compromettere quell’attrattività industriale che con grande fatica ha cercato di rafforzare negli ultimi anni e di cui iniziavamo solo adesso a vedere i risultati.

UN PILASTRO STRATEGICO

L’industria farmaceutica italiana non è soltanto un motore economico – con oltre 55 miliardi di euro di produzione e più di 70mila addetti diretti – ma rappresenta un asset strategico per la sicurezza nazionale. Lo ha dimostrato la pandemia da Covid-19, quando la carenza di principi attivi, mascherine e vaccini ha messo in ginocchio anche i sistemi sanitari più avanzati. Senza una filiera farmaceutica forte e autonoma, ogni crisi epidemiologica rischia di trasformarsi in una catastrofe sanitaria.

E l’ipotesi di una nuova emergenza globale non è affatto remota: l’influenza aviaria, la recrudescenza del morbillo e l’aumento delle infezioni antibiotico-resistenti sono solo alcuni segnali di un rischio concreto. In questo scenario, la riduzione della capacità produttiva europea equivarrebbe a un indebolimento della risposta collettiva del continente. L’autonomia strategica nel campo della salute, come ricordano da mesi anche le istituzioni europee, non è un’opzione ideologica, ma una necessità geopolitica.

SE LA CINA AVANZA

Mentre l’Europa è impegnata a contenere l’offensiva commerciale americana, la Cina avanza. Proprio ieri Pechino ha annunciato nuove possibili tariffe del 104% contro alcune importazioni statunitensi, in risposta alle misure protezionistiche di Washington nel settore automobilistico e tecnologico. Un segnale chiaro che la guerra dei dazi è ormai multilaterale e che la posta in gioco è molto più alta di una disputa doganale.

Ma c’è un ulteriore rischio: mentre l’Europa si piega in posizione difensiva per salvaguardare le proprie esportazioni farmaceutiche, la Cina potrebbe approfittarne per guadagnare terreno. Da tempo Pechino investe in modo massiccio nella filiera farmaceutica – dalla produzione di Api alla ricerca clinica – e oggi rappresenta un concorrente sempre più agguerrito, soprattutto per i Paesi che non riescono a garantire autonomia strategica. In uno scenario globale dove i grandi blocchi si riorganizzano, ogni vuoto lasciato dall’Europa rischia di essere rapidamente occupato, con ricadute pesanti sulla competitività, sull’innovazione e sulla capacità di risposta alle prossime crisi sanitarie.

VERSO UNA NUOVA FASE?

Quella che si sta aprendo non è solo una nuova fase della guerra dei dazi, ma una crisi che coinvolge direttamente la salute delle persone. Per l’Europa, e per l’Italia in particolare, il rischio è duplice: da un lato, perdere quote di mercato e posti di lavoro; dall’altro, trovarsi fuori dai tavoli strategici che decideranno le regole del gioco per i prossimi decenni.

Nel frattempo, l’industria chiede risposte forti e rapide. In gioco non ci sono solo fatturati e bilance commerciali, ma la sicurezza di milioni di persone.


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