Se l’Italia saprà valorizzare le sue eccellenze industriali, puntare su un procurement europeo condiviso e rafforzare la sua postura politica, potrà ambire a un ruolo guida, perché la difesa comune non si costruisce solo con i trattati, ma con programmi condivisi, industria integrata e una visione strategica che, per una volta, guardi avanti. L’analisi di Roberto Arditti
Nel dibattito strategico italiano, la difesa europea sta smettendo di essere un orizzonte evocato nei consessi internazionali e comincia ad assumere i contorni di un dossier operativo. Una transizione tutt’altro che scontata, che impone al sistema-Paese una verifica realistica delle proprie ambizioni, capacità e posizionamenti.
La linea della maggioranza di governo, guidata da Giorgia Meloni e incarnata con coerenza dal ministro Guido Crosetto, si muove lungo una direttrice ormai chiara: rafforzamento della postura atlantista dell’Italia, sostegno politico e operativo all’Ucraina, e adesione a un’idea di difesa comune europea che sia pienamente integrata nel quadro Nato. È la strategia del “complementare, non alternativo”, che Roma sostiene anche in sede di Eumc e negli incontri tra i Defence Ministers a Bruxelles.
Il problema, semmai, è la capacità del sistema italiano di stare al passo con l’accelerazione che si registra nelle cancellerie europee.
Il dibattito in corso sulla creazione di una Eu Defence Commissioner, le spinte verso un European Defence Industrial Strategy (Edis) vincolante e le prime ipotesi di un Defence Single Market, impongono all’Italia non solo posizioni politiche, ma anche strumenti concreti.
E qui alcune fragilità escono fuori, anche se – va detto – non mancano segnali incoraggianti.
Il comparto industriale italiano, pur storicamente penalizzato da una pianificazione discontinua, ha mostrato negli ultimi mesi una capacità di reazione notevole. Il programma Gcap (Global Combat Air Programme), che vede l’Italia partner strategico accanto a Regno Unito e Giappone per lo sviluppo del caccia di sesta generazione, rappresenta una delle più importanti iniziative di difesa ad alta tecnologia in ambito euro-atlantico.
La partecipazione italiana – tramite Leonardo – va ben oltre un ruolo ancillare: coinvolge ricerca, avionica, sensoristica, elettronica e apre spazi di crescita tecnologica per l’intera filiera nazionale.
Altro tassello strategico è l’accordo siglato tra Leonardo e Rheinmetall per la realizzazione di una nuova generazione di piattaforme corazzate, che si propone come risposta industriale credibile all’asse franco-tedesco rappresentato dal programma MGCS.
Una mossa che testimonia la volontà di Roma di non subire passivamente le dinamiche continentali, ma di proporre soluzioni industriali alternative, credibili e interoperabili.
Sul fronte navale, Fincantieri continua a giocare un ruolo di primo piano nei consorzi europei. Le partnership con Naval Group, il lavoro svolto nei programmi PPA e LSS e la crescente presenza in mercati terzi (Medio Oriente, Asia-Pacifico, America Latina) dimostrano come l’Italia sia in grado di coniugare capacità cantieristica, know-how tecnologico e diplomazia commerciale.
Eppure, il gap strutturale resta. La filiera subfornitrice è ancora troppo frammentata, l’assenza di una vera agenzia nazionale di procurement limita il coordinamento, e la cultura strategica non è ancora patrimonio diffuso nel decisore politico.
Il Documento Programmatico Pluriennale della Difesa 2024–2026 segna un passo avanti in termini di trasparenza, ma manca ancora di un’integrazione piena con le dinamiche europee di investimento e innovazione.
Sul piano politico, la maggioranza gode oggi di un sostegno compatto, favorito da una sintonia tra Palazzo Chigi e il Quirinale sui grandi dossier strategici.
L’opposizione, al contrario, appare meno strutturata: il Partito Democratico alterna aperture europeiste a posizioni più caute sul riarmo continentale, mentre il Movimento 5 Stelle resta ancorato a una visione pacifista difficilmente compatibile con l’attuale scenario geopolitico.
L’assenza di una strategic culture condivisa si riflette anche nella sottorappresentazione dell’Italia nei centri decisionali europei: Commissione, Eda, Eumc. Un paradosso, per un Paese che è potenza regionale nel Mediterraneo e membro del G7.
Eppure la finestra di opportunità è concreta. L’Europa, per la prima volta dal Trattato di Maastricht, si muove con coerenza verso una difesa comune. Non più opzione, ma necessità.
E se l’Italia saprà valorizzare le sue eccellenze industriali, puntare su un procurement europeo condiviso e rafforzare la sua postura politica, potrà ambire a un ruolo guida.
Perché la difesa comune non si costruisce solo con i trattati, ma con programmi condivisi, industria integrata e una visione strategica che, per una volta, guardi avanti.