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Francesco aveva capito tutto di guerra e pace. L’opinione di Guandalini

Il Papa è morto senza vedere a conclusione la trattativa di pace tra Ucraina e Russia, guidata dal Presidente Trump e, a grandi linee, ispirata dal primo e spontaneo Bergoglio, quello del coraggio della bandiera bianca, della volontà di negoziare. Il funerale poteva rappresentare l’occasione per intavolare un primo incontro tra i protagonisti. Ma l’assenza di Putin ha frenato questa speranza. L’opinione di Maurizio Guandalini

Il conflitto russo-ucraino è la rappresentazione plastica di come le parole di Papa Francesco siano state ignorate. Sopportate. Surclassate nella categoria arrendevole di un pacifismo di maniera. Da perdonare come si perdona un nonno brontolone. Che vive nel suo mondo perché non è il suo mestiere parlare di guerra, di armi e di eserciti.

Quante critiche ricevette dai nostri opinionisti in pianta stabile quando, in un’intervista concessa a Cliché, un programma della radiotelevisione svizzera, nel marzo del 2024, parlò dell’urgenza della pace: “È più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare”.

Si tratta di un disperato appello – scrive la Treccani – per trovare una soluzione diplomatica al conflitto, per aprire un negoziato e far tacere le armi. Il riferimento al “coraggio della bandiera bianca” è stato però vissuto da molti come un invito alla resa.

Bergoglio fu quasi deriso. E quindi ignorato. Poi ci furono diversi aggiustamenti rispetto a quella che era una posizione spontanea, caratteriale di Papa Francesco (quando disse che l’ira di Putin era stata facilitata “dall’abbaiare dell’Alleanza Atlantica alle porte della Russia”) ma estremamente realistica. Si scelse, anche da parte ecclesiastica, di non ritornarci sopra, di silenziare quell’intervista, derubricandolo come un piccolo equivoco senza importanza, preferendo un’opera generalizzata di condanna della guerra e di pregare per la martoriata Ucraina.

Ma rebus sic stantibus, oggi, il mondo si ritrova al punto di partenza. A quelle parole di Papa Francesco e alla costatazione del tempo perso per l’immobilismo diplomatico e negoziale manifestato dall’Europa, agli Stati Uniti, all’Onu. E dai loro leader.

Ci voleva la stranezza del personaggio Trump, quello più distante di chiunque altro da Francesco, per raccogliere inconsapevolmente la modalità più spontanea e banale che si aveva di fronte: parlare, incontrarsi e quindi negoziare la pace. Senza fronzoli. O giri lunghi, pretesto del dolce far niente, di quel ciurlare nel manico di molti. Osservanti delle quisquiglie figlie di posizionamenti di maniera che nulla avevano a che fare con la morte di migliaia di persone, sia da parte ucraina che da parte russa.

Servono a niente i distinguo, aggrapparsi alle morti dal valore superiore dell’aggredito rispetto a quelle dell’aggressore. Nelle guerre muoiono soprattutto gli innocenti e le stragi le compiono sia gli aggrediti sia gli aggressori. Le bombe, quando si lanciano, non si sa mai chi vadano a colpire.

Ricordo di frequente – l’ho fatto anche in uno scritto di qualche giorno fa – l’episodio di mio nonno, morto alla vigilia della Liberazione, e oggi ricordato in un cippo, per una bomba caduta sulla cabina del suo camion che stava guidando per lavoro e sganciata da un aereo alleato. La guerra non guarda in faccia a nessuno, miete solo vittime, e Trump si è preoccupato di dire che “stanno morendo milioni di persone, soprattutto giovani. Le città sono distrutte, sono ridotte a un cumulo di macerie. La Russia ha perso 800 mila uomini, l’Ucraina 700 mila”. Il testamento di Francesco lasciato anche alla politica è nelle ultime parole pronunciate: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo”.

Ai leader europei saranno fischiate le orecchie per la dose sproporzionata di cinismo che ha condizionato il loro approccio abborracciato alla soluzione del conflitto ucraino, mirato a giustificarsi nella corsa al riarmo dietro a un presunto e imminente pericolo russo. E perché le parole e gli atteggiamenti non siano vani, sarebbe cosa buona e giusta ripartire proprio dal pronunciamento del Papa. La sofferenza della condizione umana. Sola. Silenziosa. Ripiegata. Senza futuro certo. Il gesuita Francesco ha mirato nel suo tormento, dalla carrozzina a oggi, dalla malattia incipiente alla morte, all’attracco di una visione del mondo alla ricerca della salvezza dell’umanità prima in terra che nei cieli.

Il funerale di Bergoglio poteva rappresentare l’occasione seduta stante di siglare l’accordo di pace tra Ucraina e Russia. Ma Putin ha sbagliato a non essere presente (l’Italia ha opportunamente ignorato l’ordine dell’Aia e ha bloccato l’esecutività del mandato d’arresto internazionale) alle esequie di Papa Francesco – che secondo alcuni andrebbe ritirato da tutte le nazioni occidentali, come dovrebbero cadere i veti nello sport e nella partecipazione dei leader occidentali in Russia, il 9 maggio 2025, a festeggiare gli 80 anni dalla sconfitta del nazismo. Peccato. Sarebbe stato un finale degno dell’applicazione del ‘bergoglianesimo’ alla realtà. Espressa sempre con crudezza da Trump in queste ore: perché la trattativa di pace vada a buon fine occorre che le parti in causa rinuncino a qualcosa.


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