In questa Chiesa il suo magistero è la fragilità, e sulla fragilità. In un mondo tentato dal riconoscere che solo la forza può salvarci, o affermarci, o farci emergere, il magistero della fragilità riguarda tutti e non nascondendola, ma facendo un tratto pontificale, Francesco non sola la mostra, ma la fa emergere come elemento cruciale della nostra realtà. La riflessione di Riccardo Cristiano
Papa Francesco si reca a sorpresa nella Basilica di San Pietro per verificare lo stato dei restauri della cattedra di San Pietro, ringraziare restauratori e restauratrici al lavoro e fermarsi sulla tomba di San Pio X, che scrisse l’Esortazione apostolica “Dum Europa”, rivolgendo la sua supplica a Dio affinché allontanasse “quanto prima le funeste fasi di guerra” ed ispirasse “ai supremi reggitori delle Nazioni pensieri di pace e non di afflizione”. Durante questa visita privata il papa oltre a due restauratrici ha salutato alcuni bambini, ai quali ha chiesto come si chiamassero, ha pregato sulla tomba di San Pio X e poi è rientrato a Santa Marta. Le cronache di questo nuovo fuori programma di Bergoglio ci forniscono i dettagli: ovviamente la sorpresa dei presenti, la giovane restauratrice che esortata dal papa ad avvicinarsi si scusa perché ha le mani fredde, il bambino straniero che gli dice “hi papa”, la commozione di molti, la sorpresa, gli attestati commossi di affetto, “vogliamo rivederti presto qui”, e altro ancora; la poca voce, la malattia, la fatica del convalescente a ottantotto anni. Ma è il vestiario di Francesco che ha richiamato le maggiori attenzioni, giustamente. Il papa indossava i pantaloni neri, da sacerdote diciamo, e quello che i più hanno identificato con un poncho di lana, per altri un plaid, sopra un camice bianco. E indubbiamente questo ha rilevanza.
Possiamo partire da un dettaglio: nella sue recente biografia, “Spera”, Francesco ha scritto che quando fu eletto, prima di apparire sul balcone della Loggia delle Benedizioni per il suo primo saluto ai fedeli, quello del famoso “cari fratelli e sorelle, buona sera”, alcuni aiutanti gli dissero mentre si preparava che avrebbe dovuto indossare i pantaloni bianchi sotto la tunica di analogo colore. Ma lui rispose di non aver mai pensato di fare il gelataio. Da questo possiamo desumere un non apprezzamento di quel tipo di indumento, per motivi che appaiono evidenti: Bergoglio rispetta, apprezza i segni, non gli eccessi. Al riguardo si può ricordare la lunga discussione sul suo uso delle sue vecchie scarpe nere: scarpe ortopediche, ma comunque quelle vecchie, non rosse. Possiamo però proseguire con un’altra osservazione. Fino al momento della benedizione, quando ha indossato i paramenti, Bergoglio – che in quell’occasione si definì “vescovo di Roma” – non usò il vocabolo “papa”, si rivolse ai fedeli indossando soltanto la tonaca bianca, era sparito il rosso di quella mantellina che i “papi” usualmente indossano in simili circostanze. E il rosso è il colore imperiale romano, almeno tale è la sua antica origine. Le tradizioni consolidandosi a volte spariscono nella nostra percezione, pochi pensano all’impero e all’antica Roma vedendo la “mozzetta” rossa, quella mantellina chiusa al collo, rossa, ma l’origine è quella. Ora, modificare le consuetudini non tocca minimamente i paramenti liturgici; al momento della benedizione infatti Francesco indossò la stola, ma l’intenzione di de-imperializzare non indossando la stola rossa, detta “mozzetta”, è rimasta e non ha nulla di afferente alla dimensione religiosa o liturgica, ma a quella politica, questo è rivelante: questo uso è stato trasformato in consuetudine, va bene, ma conservava un valore politico e quindi ha un valore il rinunciarvi.
Di qui a presentarsi in San Pietro con i pantaloni neri e un poncho, o un plaid, che ricopre, riscalda la parte superiore del corpo, c’è un altro passo. Avrebbe potuto prendere la mozzetta, una di quelle invernali, una mozzetta rosso-imperiale, con i noti alamari, indossare sopra i pantaloni la solita veste bianca. Ma le mozzette Francesco non le ama, le immagini della sua presentazione ai popolo di Dio – lui dice sovente “popolo di Dio in cammino”, non immobile – ce lo dicono in modo chiarissimo. Ok, allora avrebbe potuto indossare il cappotto bianco, perché lui è malato, o diciamo convalescente, ha avuto una polmonite bilaterale non ancora del tutto debellata, deve riguardarsi. Questa del cappotto era comunque una soluzione possibile. Perché non è stata scelta? Questo io non lo so, ma credo che la visione di Bergoglio possa scorgersi in questo: il papa è un essere umano, e oggi è un essere umano malato, immerso in una lunga convalescenza. Se non scende in San Pietro per celebrare o comunque concelebrare, o confessare, o svolgere una qualsiasi funzione liturgica, allora questo lo fa come fanno i malati, come faremmo noi. Perché lui, come noi, è un essere umano. Scende, come noi scenderemmo, vestito in quel modo che noi definiamo “abito da casa”, o “casalingo”, o se si preferisce “casual”? È un papa, va bene, ma è soprattutto un uomo malato, e con una temperatura che si aggira intorno ai venti gradi va a fare il suo sopralluogo così, come farebbe una persona malata che però si deve riguardare. Porta dunque un tratto di umanità, di normalità, di fraternità, nel suo agire da persona convalescente, una condizione dura, nella quale lui è quello, un malato?
Forse è questo il messaggio, ma vedendo quelle immagini ho pensato alla sua Chiesa “ospedale da campo”. Francesco, il vescovo di Roma, fa un semplice sopralluogo come può, ma anche consapevole che siamo nel mezzo di una grande battaglia. Con morti, dolori, afflizioni. E la sua “Chiesa ospedale da campo”, sta lì dentro. Lui oggi è un malato nella sua Chiesa ospedale da campo per i feriti, gli ammalti per tutte queste battaglie, sofferenze che ci sono nel mondo. Il vescovo di Roma non è lontano da tutto questo, sebbene sia chiuso a Santa Marta, ciò che gli impedisce di fare ciò che vorrebbe. Dunque eccolo, nell’ospedale da campo, un papa che è un “paziente”, come tanti nel mondo.
La statua che ricorda Pio XII che andò a San Lorenzo dopo il bombardamento lo raffigura con abiti diversi, più “papali”, rispetto a come vestiva realmente: le fotografie del tempo lo ritraggono con il cappotto bianco, non con quelle mantelline che vediamo nella statua. Ma la statua doveva dirci con gli indumenti stessi che raffigura un papa. Questo si capisce, ma spiega anche il distacco che poniamo tra noi e questa figura. Serve? Davvero? O serve vederlo tra noi, come noi? La Chiesa è un giudice eterno, al di sopra e al di là della Storia? O cammina con noi? Forse è questa la chiave per capire una scelta da collocarsi in un tempo come il presente e per il pontefice – cioè colui che crea ponti, ha ricordato Francesco – che ha indicato la necessità di una Chiesa-ospedale da campo, di una Chiesa povera, per i poveri.
In questa Chiesa dunque il suo magistero è la fragilità, e sulla fragilità. In un mondo tentato dal riconoscere che solo la forza può salvarci, o affermarci, o farci emergere, il magistero della fragilità riguarda tutti e non nascondendola, ma facendo un tratto pontificale, Francesco non sola la mostra, ma la fa emergere come elemento cruciale della nostra realtà.