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Francesco, Giovanni XXIII e le visite nelle carceri dei papi “in uscita”

Francesco intende mostrare nel pomeriggio odierno che lui va, varca il portone del penitenziario, si reca da questi “figli invisibili”. È qui l’importanza dell’atto ripetuto nell’attuale contesto. Nel nostro tempo infatti gli “invisibili” sono diventati “visibili” come deterrente. Per la Chiesa in uscita, per la Chiesa ospedale da campo invece restano visibili nella loro condizione, vale dunque “il Papa è venuto a trovarvi”, come Giovanni XXIII andò a trovare i detenuti nel 1958. La riflessione di Riccardo Cristiano

Tutti sappiamo che il pontificato di Francesco si è caratterizzato anche per la scelta, certamente derivante dalla sua idea di “Chiesa in uscita” e “Chiesa ospedale da campo”, di recarsi in luoghi di sofferenza e marginalizzazione in occasione dell’inizio del triduo pasquale, quando il papa, celebrata la Messa che ricorda l’Ultima Cena e detta In Coena Domini, lava i piedi a dodici persone, rievocando così la scena evangelica dell’ultima cena, quando Gesù lavò i piedi ai dodici apostoli. Un gesto che si spiega tornando agli usi del tempo: in assenza di scarpe chiuse, chi si recava in luoghi lontani o a casa d’altri giungeva inevitabilmente con i piedi impolverati. Di qui l’uso di farli lavare da uno schiavo, o un servitore. Gesù decise di compiere lui quell’azione, che i papi ricordano come gesto indubbiamente molto forte, di servizio al prossimo che Gesù ha voluto compiere personalmente, non delegando ad altri, “alla servitù”.

Nella tradizione la “lavanda dei piedi” aveva luogo in San Pietro, e venivano scelti dodici chierici per rappresentare i dodici apostoli: con Francesco questo è cambiato in molto significativo, il papa argentino ha scelto di uscire in occasione della solenne apertura del triduo pasquale e si è recato in centri di accoglienza per richiedenti asilo o profughi, in carcere, dai detenuti dei carceri minorili. È stato così dal 2013, primo anno di pontificato, quando si è recato per la Messa in Coena Domini dai minori di Casal del Marmo, l’anno seguente alla Fondazione Don Carlo Gnocchi, quindi a Rebibbia, poi al C.A.R.A, Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo, a Castelnuovo di Porto, poi alla Casa di Reclusione di Paliano in provincia di Frosinone, successivamente a Regina Coeli, poi alla Casa Circondariale di Velletri, quindi complice la pandemia è rimasto in San Pietro nel 2020, poi dal cardinale Becciu, ma nel 2022 è tornato a uscire dal Vaticano per celebrare la messa in Cena Domini nel nuovo penitenziario di Civitavecchia, e nel 2023 è tornato a Casal del Marmo e lo scarso anno nel carcere femminile di Rebibbia.

Tutti sanno anche che Giovanni XXIII si recò nel penitenziario romano di Regina Coeli. Un evento storico sul quale Il Messaggero di Roma, il 27 dicembre 1958, scrisse: “La manifestazione ha fatto tremare i muri di Regina Coeli. Dell’atmosfera tipica del carcere non è rimasto più nulla. Aperti i cancelli a pianterreno, il Papa ha visitato un ‘braccio ’e l’infermeria, fra ali di carcerati usciti dalle celle con i loro vestiti a strisce. Ma l’episodio che più ha colpito il Papa è stato quello che ha appreso una volta varcato il portone del penitenziario. Egli ha saputo che trecento detenuti, chiusi nelle celle di rigore perché considerati pericolosi, non hanno potuto vederlo. Ebbene: ha inviato a ciascuno di essi un’immagine con l’assicurazione che non dimenticherà i suoi ‘figli invisibili’. Al termine dell’incontro con i detenuti un’ultima raccomandazione: ‘Scrivete a casa, raccontate alle vostre madri ed alle vostre mogli che il Papa è venuto a trovarvi’”.

Le connessioni tra il pontificato giovanneo e quello di Francesco sono numerose ed evidenti. Il significato della visita che Francesco intende tornare a compiere oggi pomeriggio, se la salute glielo consentirà, non più dopo il Natale, come fece Giovanni XXIII, ma in apertura del Triduo pasquale, come lui ha fatto lungo tutto l’arco del suo pontificato, dal suo punto di vista non potrà differire molto da quello che fu per Giovanni XXIII. È il contesto che gli può però conferire un particolare valore.

Il primo è il valore che evidentemente Francesco attribuisce a questo suo atto. Francesco di tutta evidenza non vuole che la sua convalescenza gli impedisca di varcare quella soglia; forse non potrà celebrare la messa e poi lavare i piedi a dodici tra carcerati e carcerate (la presenza di donne e di non cattolici o cattoliche è un’altra novità di enorme rilievo nel suo Giovedì Santo), forse si limiterà a portare ai detenuti copie del Vangelo, questo lo sapremo solo al momento della visita, quando i medici decideranno. Ma il valore che Francesco attribuisce all’atto è fuori discussione, oggi come negli anni passati. Ma è impossibile non pensare ai penitenziari che abbiamo visto in queste ore stracolmi di “migranti illegali” deportati dagli Stati Uniti: al di là della discussione giuridica sulla decisione, è l’immagine di uomini ammassati al limite dell’immaginabile a colpire. Francesco intende mostrare nel pomeriggio odierno che lui va, varca il portone del penitenziario, si reca da questi “figli invisibili”. È qui l’importanza dell’atto ripetuto nell’attuale contesto. Nel nostro tempo infatti gli “invisibili” sono diventati “visibili” come deterrente. Per la Chiesa in uscita, per la Chiesa ospedale da campo invece restano visibili nella loro condizione, vale dunque “il Papa è venuto a trovarvi”, come Giovanni XXIII andò a trovare i detenuti nel 1958. In quell’occasione Giovanni XXIII disse: “Io metto i miei occhi nei vostri occhi: ma no, perché piangete? Siate contenti che io sia qui. Ho messo il mio cuore vicino al vostro. Il Papa è venuto, eccomi a voi. Penso con voi ai vostri bambini che sono la vostra poesia e la vostra tristezza, alle vostre mogli, alle vostre sorelle, alle vostre mamme…”.

Tutto questo dunque ci porta alla “prossimità” che sostanzia il messaggio di “figli visibili” e ci consente di scorgere attraverso una luce diversa anche a quella sua recente visita fugace a San Pietro, che molti non hanno apprezzato. Non è stato un gesto “destrutturante”, ma una diversa manifestazione di prossimità nella fragilità della malattia, fragilità che non va negata, nascosta.


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