La guerra in Europa ha riacceso la consapevolezza che la libertà non è mai scontata. Intervenendo al Senato, l’ammiraglio Cavo Dragone, presidente del Comitato militare della Nato, ha sottolineato la necessità di una difesa europea più solida e coesa. Mentre la Nato mantiene il suo ruolo centrale, è il momento per l’Europa di assumere maggiori responsabilità al suo interno. Le sfide non sono solo militari, ma coinvolgono il piano economico, tecnologico e psicologico. Eppure, la speranza di una pace duratura dipende dalla capacità di rilanciare il multilateralismo globale
“Non sappiamo ancora dove il Pendolo della Storia interromperà le sue oscillazioni. Ma è sempre importante ribadire alcuni elementi fattuali per evitare che il proliferare di narrative e strategie di disinformazione ne possano alterare la sostanza e la fondatezza obiettiva”. La guerra è tornata al centro del continente europeo. E con essa, è tornata la consapevolezza che la libertà va difesa, non data per scontata. A dirlo è l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare della Nato e già capo di Stato maggiore della Difesa, che, intervenendo al Senato, ha lanciato un chiaro avvertimento: “Democrazia e libertà sono valori per nulla acquisiti e per i quali dobbiamo combattere senza riserve”.
Il contesto non è solo bellico, ma sistemico. C’è una pressione crescente ai confini dell’ordine occidentale, e c’è una rete di attori — Russia, Cina, Corea del Nord e Iran — che si muove in maniera coordinata. Per l’ammiraglio, questo asse “è vivo, vegeto e paurosamente incombente”. Non si tratta più di minacce frammentate, ma di una sfida ai presupposti su cui si fonda l’Alleanza Atlantica.
È in questo scenario che la Nato riafferma la sua centralità, non come riflesso del passato ma come struttura essenziale di sicurezza e stabilità. “In 75 anni di storia, non un centimetro di territorio Nato è andato perso”, ha ricordato Cavo Dragone. Un dato che vale come bilancio, ma anche come avvertimento. La deterrenza funziona solo se è credibile. E qui si innesta il tema della difesa europea, non più rinviabile. Gli Stati europei membri dell’Alleanza “partecipano tutti attivamente a presidiare l’Atlantico, l’Artico, il fianco Est e quello Sud”. Ma serve un passo ulteriore in termini di capacità, coesione e interoperabilità. Il tempo delle dichiarazioni di intenti è finito, quello delle scelte strutturali è iniziato. Il quadro è chiaro. La Nato rimane il perno della sicurezza euro-atlantica, ma non può più essere sorretta da un solo pilastro. L’Europa deve scegliere se essere protagonista o spettatrice del proprio destino strategico.
Sul ruolo degli Stati Uniti, Cavo Dragone ha voluto sgombrare il campo da equivoci. “La ragione principale per investire nella difesa europea non va cercata nelle tante discussioni sulla possibilità di un disimpegno americano”, ha affermato. Secondo Cavo Dragone, infatti, nell’attuale pianificazione Nato non vi è il minimo accenno a un disimpegno degli Usa. Diversamente, Washington continua a sostenere la struttura dell’Alleanza e chiede che l’Europa faccia la sua parte. “Gli Stati Uniti spendono circa il 15% del bilancio militare per la sicurezza dell’Europa”, ha ricordato l’ammiraglio, rilevando come sia “assolutamente condivisibile” la richiesta di maggiore equilibrio nella condivisione degli oneri.
Ma la questione è più ampia. Perché il confronto non si limita più al terreno militare, ma si estende al campo tecnologico, economico, finanziario. I Paesi Brics — trainati da Pechino — stanno costruendo un’alternativa sistemica. Un progetto, spiega Cavo Dragone, che punta a “creare un sistema economico e finanziario antagonista a quello occidentale”. Anche questa è una forma di guerra, per ora non convenzionale, ma tutt’altro che incruenta.
C’è poi un livello più sottile, ma non meno rilevante: la percezione della sicurezza. La guerra in Ucraina ha “colpito la psicologia collettiva” e reso evidente che la minaccia non è più remota, né ipotetica. È diventata “una presenza inquietante nelle nostre case”, un elemento che attraversa la quotidianità, condiziona la cultura politica e alimenta richieste di protezione.
In questo quadro, la crisi del multilateralismo è più di una diagnosi, ma una sfida. E tuttavia, per l’ammiraglio, la pace — se mai verrà — dovrà passare proprio da lì. “Non si potrà prescindere da sistemi di monitoraggio e garanzia internazionali tracciati da una cornice multilaterale”. Non si tratta dunque di salvare le istituzioni per nostalgia, ma di usarle per evitare il collasso degli equilibri globali. E il momento per farlo è ora, prima che il “Pendolo della Storia” — come lo ha definito Cavo Dragone, si fermi in un punto da cui non si possa tornare indietro.