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Il mercato dell’arte non è in crisi, anzi. Monti spiega perché

Mentre gran parte della stampa di settore già annuncia la disfatta dei risultati 2024 per quanto riguarda il mercato dell’arte, registrando un valore totale pari a circa 57 miliardi di euro (e quindi un -12% sui valori dell’anno precedente), il report Art Basel e Ubs Global Art Market Report mostra una situazione ben diversa. Se sempre più persone sono disposte a pagare per poter però disporre di un’opera d’arte nella propria abitazione, il mercato dell’arte è in crescita. L’analisi di Stefano Monti

Quando si guarda ad un mercato, bisogna sempre stare attenti a distinguere i volumi dai valori. Per farla semplice, il calo dei valori può essere determinato da una serie piuttosto esigua di condizioni: la prima è che si è venduto di meno; la seconda è che si è venduto di più ma sono scesi i prezzi.

Se poi ci si trova di fronte ad un mercato che, come quello dell’arte, presenta fasce di prezzo molto distanti tra loro, un calo del valore totale del mercato può essere motivato dal fatto che siano diminuite le vendite legate ai prodotti più costosi, a prescindere da come si siano comportate le vendite degli altri comparti.

Se ho 100 prodotti, di cui 97 sono sul mercato al prezzo di un euro, e tre invece sono sul mercato al prezzo di mille euro, può capitare che in un anno, vendendo due soli prodotti da mille generi un ricavo totale più alto rispetto agli anni precedenti, quando però di prodotti ne avevo venduti 98.

Certo, se guardiamo al solo aspetto del fatturato, allora è sicuramente vero che il mercato dell’arte, nel suo complesso, ha registrato un calo rispetto agli anni precedenti. Ma se invece guardiamo alle dimensioni degli scambi, e vale a dire quanti prodotti sono stati venduti, la fotografia che emerge è tutt’altro che critica.

Così, mentre gran parte della stampa di settore già annuncia con costernazione la disfatta dei risultati 2024, registrando un valore di mercato totale pari a circa 57 miliardi di euro (e quindi un pesante -12% sui valori dell’anno precedente), il report Art Basel e Ubs Global Art Market Report, cui tutti fanno riferimento mostra invece, nelle sue analisi, una situazione ben diversa.

Si scopre, ad esempio, che il numero totale degli scambi è cresciuto, ed è cresciuto di un solido 3% (si pensi ai risultati del nostro PIL, che se raggiunge l’1% è festa nazionale). Si scopre poi che la contrazione ha riguardato soprattutto la fascia alta del mercato. È lì che si annida il problema. È lì che si può parlar di crisi.

Il segmento che tratta opere dal valore superiore ai 10 milioni di dollari, infatti, ha registrato un calo delle vendite del 39%, e un calo dei valori pari al 45%. In alti termini, per quel mercato lì, che riguarda ben poche persone e organizzazioni di questo pianeta, non solo si è venduto di meno, ma anche a prezzi più bassi.

Al contrario, nel corso del 2024 è cresciuto, considerevolmente, il segmento più basso del mercato: le transazioni con opere sotto i cinquemila dollari sono aumentate del 13%, con un incremento totale del valore pari al 7%. Non si tratta allora di “crisi”, si tratta dell’emersione di un comparto (che prevede più transazioni e prezzi più bassi), rispetto al mercato dei top-lots.

E allora val la pena ricordare di che mercato stiamo parlando, e cosa questi numeri significhino.

Perché il mercato dei top-lots e il mercato sotto i cinquemila euro si rivolgono tendenzialmente a due mondi molto diversi tra loro.

Quello dei top-lots è un mondo che riguarda i cosiddetti ultraricchi, o le istituzioni museali, o quelle finanziarie. In ogni caso una manciata di soggetti che possono guardare all’arte come investimento, come passione, come professione.

Questi soggetti raramente acquistano sotto i cinquemila, a meno che non siano spinti da una reale volontà di “scoprire” talenti su cui investire nel tempo (sia in termini economici, ma anche in termini emotivi, di scommessa, una sensazione che chi colleziona conosce bene).

Al contrario, la maggior parte delle persone normali non sarà nemmeno mai invitata ad un’asta in cui si può battere un’opera a più di 10 milioni.

E se mai dovesse trovarsi lì, sarebbe per curiosità, o per la possibilità di conoscere qualcuno tra i partecipanti. L’arte, però, non è solo quella dei grandi “maestri” del passato o degli artisti contemporanei più affermati a livello mondiale.

L’arte è il risultato di una specifica modalità espressiva della nostra specie e della nostra civiltà. È il segno inequivocabile che la specie sapiens è in grado di indagare, attribuire e riprodurre una dimensione simbolica.

È lo strumento attraverso il quale altri esseri umani hanno indagato alcuni elementi dell’esistenza: la bellezza di un paesaggio, l’importanza di Dio nelle nostre vite, l’assolutismo dell’essere umano, l’incredibile solitudine dell’uomo atomizzato, la beffa del tempo, l’inconcepibile altro (l’umano, il divino, la morte), l’esplosione della natura, il desiderio, la lussuria, la disperazione dell’uomo di fronte al proprio mondo, o di fronte alle proprie azioni. Non tutte queste espressioni hanno pari valenza estetica, ma non importa.

Al tempo del Rinascimento, c’erano i grandi artisti, ma c’erano anche tantissime botteghe che si occupavano di fare ritratti in una logica quasi industriale, con le tele che venivano preimpostate lasciando soltanto lo spazio del volto da personalizzare.

Vedere crescere per numero e valore, il settore più basso del mercato, assume, per il comparto artistico, un significato incredibilmente positivo.

Perché la vendita di un Rembrandt o di un Picasso può incrementare di molto il fatturato globale, ma non la presenza di arte nella vita delle persone.

Questo è un punto che merita una riflessione, perché spesso il tema viene trattato secondo un concetto di accessibilità novecentesca e una soltanto teorica dicotomia tra soggetto pubblico e soggetto privato.

Quando un Picasso viene venduto ad un privato, ad esempio, si suole sostenere che quel dipinto è stato tendenzialmente sottratto all’accessibilità pubblica. Il privato se lo mette in casa o in un deposito, e saranno pochissimi a vedere quel dipinto. Tutto vero.

Ma non è che le cose cambino di molto se l’acquista un Museo. Certo, il Museo continuerà a garantire una funzione pubblica di quell’opera. Ma se il Museo è a Vancouver, saranno pochi gli europei che potranno vedere quel dipinto dal vivo.

Anche ipotizzando una circuitazione attraverso mostre e prestiti, è lecito ricordarci che siamo più di 8 miliardi, ed è alquanto improbabile che tutte le persone del mondo possano realmente vederlo, quel dipinto.

La differenza concreta sta dunque nel fatto che in un caso abbiamo la possibilità teorica, e nell’altro no. In un caso siamo automaticamente esclusi. Nell’altro, sono esclusi soltanto gli altri.

Questa digressione è importante, perché la vendita di un Picasso, che sia ad un museo o ad un privato, con ogni probabilità non porterà “più arte” nelle nostre vite. Se una grande collezione internazionale, o anche italiana, aggiunge un dipinto alle proprie pinacoteche cambia poco.

Le persone lo vedranno soltanto quando saranno presso quelle pinacoteche. Se invece aumentano le opere di fascia bassa del mercato, è molto probabile che ci siano più dipinti nelle case, nei negozi, negli studi.

La reale rivoluzione informatica è iniziata quando un signore ha sognato che in ogni casa ci fosse un personal computer e non che ci fossero computer più potenti, ma soltanto nei centri di ricerca. Chiunque sostenga che il mercato dell’arte è in crisi ha probabilmente dimenticato che la funzione dell’arte non è quella di entrare nei musei.

Così come la produzione letteraria non ha il solo scopo di entrare nelle biblioteche. Biblioteche e Musei sono strumenti surrogati, perché l’unicità dell’opera d’arte non consente a tutti di poter avere in casa delle opere il cui valore sarebbe al di fuori delle proprie possibilità.

Il mercato dell’arte, quindi, al pari di ogni altro mercato, ha il solo scopo di fare in modo che un determinato prodotto o servizio possa raggiungere, nel modo più efficace possibile, quelle persone che per quel prodotto o servizio sono disposte a pagare.

Se sempre più persone sono disposte a pagare, anche una cifra irrisoria, per poter però disporre di un’opera d’arte nella propria abitazione, il mercato dell’arte è in crescita. Se dimentichiamo questo, allora dimentichiamo cosa sia l’arte e quale sia la funzione del suo mercato.


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