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India colpita davanti a Vance. Ecco il significato globale dell’attacco a Pahalgam

Le vittime civili di Pahalgam non sono solo il volto tragico della violenza, ma anche protagonisti per un messaggio indirizzato ai vertici delle democrazie globali. La sfida è chiara: o l’India e i suoi partner riusciranno a proteggere questa traiettoria di cooperazione, oppure lasceranno campo a chi vuole riportare la regione — e il mondo — a una logica di paura, isolamento e instabilità

L’attentato che ha colpito martedì pomeriggio la località turistica di Pahalgam, nel distretto di Anantnag nel Sud Kashmir, non è solo l’ennesimo episodio di violenza settaria nella regione. È un segnale strategico diretto contro l’India, il ruolo globale che il premier Narendra Modi sta costruendo per il Subcontinente, anche grazie alla convergenza di interessi con gli Stati Uniti. Avvenuto mentre il vicepresidente americano J.D. Vance si trova nel Paese per una visita ufficiale, l’attacco assume una portata che va oltre il dramma umano — almeno 25 vittime, in gran parte turisti — e diventa parte di una partita globale.

L’attentato: colpire civili per parlare ai decisori

Secondo fonti della polizia indiana, un gruppo armato ha aperto il fuoco contro un gruppo di visitatori nei pressi dei prati di Baisaran, una delle mete più iconiche della stagione primaverile del turismo interno. Le autorità parlano di “atto deliberato e pianificato”, eseguito in una zona difficile da monitorare, scelta per il suo impatto mediatico e simbolico.

L’assenza (finora) di una rivendicazione ufficiale non è anomala in questi casi. Ma l’intelligence indiana sospetta con forza il “The Resistance Front” (Trf), gruppo jihadista con forti legami Pakistan, che opera come una branca di Lashkar-e-Taiba (LeT) sotto l’obiettivo esplicito di destabilizzare la regione. Fonti governative fanno sapere che la Trf ha ricevuto negli ultimi mesi nuovo supporto logistico e propagandistico, e ha intensificato i reclutamenti online nella valle del Kashmir.

Il Kashmir, regione a maggioranza musulmana, è conteso tra India e Pakistan sin dalla spartizione del 1947, con entrambe le nazioni che ne rivendicano la sovranità totale. L’India mantiene nella regione una presenza militare permanente stimata in circa 500.000 uomini. Da decenni, gruppi armati locali conducono un’insurrezione con l’obiettivo di ottenere l’indipendenza del Kashmir o la sua annessione al Pakistan – che ne sostiene le istanze più o meno apertamente. Le tensioni armate si sono ridotte dopo il 2019, anno in cui il governo del primo ministro Narendra Modi ha revocato lo statuto speciale della regione, ponendola sotto il controllo diretto di Nuova Delhi.

L’esercito indiano ha annunciato nelle scorse ore di aver neutralizzato due uomini armati nel Kashmir, nei pressi della linea di confine contesa con il Pakistan. Secondo quanto riferito dalle forze armate, si tratta di “due terroristi eliminati” durante un “intenso scontro a fuoco” avvenuto nell’area di Baramulla, mentre tentavano di infiltrarsi nel territorio indiano. Nell’operazione sono state recuperate ingenti quantità di armi e munizioni.

La coincidenza chiave: Vance in India, l’asse indo-americano nel mirino

Il vero messaggio dell’attentato risiede nel suo tempismo. Proprio in queste ore, Vance è in visita in India, dove incontrerà il primo ministro Modi per discutere di commercio, tecnologia e — soprattutto — cooperazione strategica. Fonti diplomatiche indiane definiscono la visita “cruciale” per il consolidamento di quella che sempre più appare come una partnership di rilevanza globale: il rapporto tra la più grande democrazia del mondo e la superpotenza occidentale in cerca di nuovi equilibri nell’Indo-Pacifico. Tra l’altro, in questi giorni ci sono ampie discussioni verso la risoluzione di alcune delle controversie tra Washington e New Delhi.

In questo contesto, colpire nel Kashmir ha un senso simbolico e operativo. Significa attaccare il punto debole dell’India — una regione ancora segnata dall’instabilità — per minare la sua credibilità internazionale come attore sicuro, stabile e affidabile. Ma significa anche lanciare un monito all’America, alla sua presenza nella regione, e al rafforzamento dell’asse strategico che Washington sta costruendo con Nuova Delhi come alternativa alla pressione cinese e all’espansionismo russo.

Nel quadro più ampio, l’attentato si inserisce infatti nelle dinamiche di guerra ibrida che coinvolgono il Kashmir e, indirettamente, l’intero equilibrio sudasiatico. Gruppi come la Trf operano sotto copertura di apparente “resistenza locale”, ma in realtà sono strumenti geopolitici. Servono a Islamabad per esercitare pressione sull’India, e sempre più anche a potenze terze che vedono in quella crescente centralità dell’India un ostacolo ai propri interessi.

Reazione di Nuova Delhi: fermezza interna, equilibrio esterno

Modi ha condannato l’attacco definendolo “un atto vile e codardo”, mentre il ministro dell’Interno, Amit Shah, si è recato d’urgenza a Srinagar. Ma la risposta non sarà solo operativa. L’India sa che in gioco c’è la sua proiezione globale: dimostrare che il terrorismo non può sabotare i suoi percorsi di cooperazione strategica, né impedire l’attrazione di investimenti e alleanze nel campo della difesa, della tecnologia e della sicurezza energetica.

In parallelo, fonti governative assicurano che la sicurezza della delegazione americana è stata ulteriormente rafforzata e che i colloqui con Vance proseguiranno regolarmente, proprio per non cedere al ricatto della destabilizzazione.

In definitiva, l’aspetto interessante dell’attacco di Pahalgam è che non appare un episodio isolato. Piuttosto sembra un’operazione simbolica e strategica, rivolta contro la visione di un’India partner globale, sempre più inserita nelle logiche dell’Indo-Pacifico, alleata degli Stati Uniti e attore centrale nel contenimento della pressione autoritaria cinese e dell’instabilità della fascia orientale dell’Africa e in definitiva dell’Indo-Mediterraneo.

In questo senso, le vittime civili non sono solo il volto tragico della violenza, ma anche il teatro scelto per un messaggio indirizzato ai vertici delle democrazie globali. La sfida è chiara: o l’India e i suoi partner riusciranno a proteggere questa traiettoria di cooperazione, oppure lasceranno campo a chi vuole riportare la regione — e il mondo — a una logica di paura, isolamento e instabilità.


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