Nell’ambito delle discussioni annuali sulle missioni internazionali è emersa l’ipotesi di dotare l’Italia di una forza ad altissima prontezza operativa di circa tremila unità. L’iniziativa, modellata sulle forze di reazione rapida della Nato, costituirebbe uno strumento di intervento in caso di crisi ed emergenze, in Patria come all’estero. Se realizzata, si tratterebbe di una prima volta per il Paese e costituirebbe un passaggio di fase importante per la postura regionale e internazionale dell’Italia
Nel quadro della discussione annuale sulle missioni internazionali, la Camera dei deputati ha avviato l’esame della relazione congiunta delle Commissioni Esteri e Difesa sulla partecipazione dell’Italia alle operazioni militari all’estero per il 2025. Si tratta di un passaggio ricorrente, che abitualmente include la proroga delle missioni in corso e l’autorizzazione a nuovi interventi. Tuttavia, tra le risoluzioni presentate, spicca una proposta per dotare l’Italia di una sua forza di reazione rapide.
La risoluzione presentata dalla maggioranza infatti richiama esplicitamente l’urgenza di sviluppare questa capacità, inserendola nel contesto delle nuove posture assunte dalla Nato in seguito al mutato quadro di sicurezza europeo. L’intento non è solo quello di soddisfare le richieste dell’Alleanza Atlantica ma anche di dotare il Paese di un suo strumento di intervento rapido in scenari di crisi.
Secondo quanto emerso anche nel corso delle audizioni parlamentari, queste forze — modulari e multifunzione, capaci di schierarsi molto rapidamente — rappresenterebbero uno strumento impiegabile non soltanto nei contesti multinazionali, ma anche in caso di esigenze di sicurezza o emergenza su scala nazionale e regionale. L’idea, in altre parole, è di dotarsi di una riserva operativa flessibile, pronta ad attivarsi non solo per rispondere agli impegni esterni ma anche in caso di crisi interne o nelle immediate vicinanze del territorio nazionale.
Il capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano, nel corso della sua relazione al Parlamento, ha offerto una prima fotografia operativa della struttura in via di definizione. Per far fronte a questi compiti, Portolano ha indicato la necessità di mobilitare fino a 2.867 unità, 339 mezzi terrestri, 15 aeromobili e 4 assetti navali. Un dispositivo che, per dimensioni e composizione, suggerisce un investimento strategico non solo in termini di capacità tecnica, ma anche di tempestività decisionale e interoperabilità tra forze diverse.
Il modello cui si guarda è quello della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF) della Nato, una brigata multinazionale in grado di essere rischierata entro 48-72 ore dalla decisione politica. L’Italia, in questo ambito, contribuisce con assetti specialistici e di supporto, inclusi mezzi del Genio, capacità elicotteristiche e piattaforme Isr. Ma è la sua possibile trasposizione in chiave nazionale — una sorta di “prontezza italiana”, per dirla come a Bruxelles — ad aprire scenari nuovi. Un simile strumento potrebbe rafforzare la capacità del nostro Paese di intervenire con rapidità sia in caso di disastri naturali sia di improvvisi deterioramenti della sicurezza alle frontiere marittime e terrestri.
Pertanto, se la creazione di forze ad altissima prontezza operativa sarà effettivamente portata avanti, questa non potrà che segnare inevitabilmente un passaggio di fase nella postura internazionale dell’Italia. Non solo in quanto un boost alla cooperazione inter-alleata, ma anche perché la creazione di un ventaglio di capacità autonome potrebbe sensibilmente aumentare i margini operativi nonché il peso relativo dell’Italia nel Mediterraneo allargato. Ora, in uno scenario in cui i tempi di risposta contano quasi quanto le risorse disponibili, la sfida sarà trasformare questa visione in una capacità concreta, sostenibile e diplomaticamente spendibile sul piano internazionale.