Chiunque verrà avrà molto da fare, anche sul piano delle strutture organizzative interne alla Chiesa, senza scadere nell’autoreferenzialità. Alcuni processi avviati da Francesco devono essere portati a compimento. Chi gli succederà penso che avrà questa consapevolezza: nessuno potrà stare fuori dell’agenda dettata dal pontefice. Che poi era la stessa dei grandi accadimenti globali e internazionali. Colloquio a tutto campo con monsignor Vincenzo Paglia
Più che ciò che è stato, quel che sarà. Il messaggio più profondo del papato francescano continuerà a vivere perché “le tante partite aperte, dovranno essere al centro dell’azione del suo successore: in un mondo globalizzato, di egoismi, ci salveremo solamente prendendoci cura dei più deboli”. Monsignor Vincenzo Paglia membro del Dicastero per l’Evangelizzazione, Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, membro del Dicastero delle Cause dei Santi tratteggia, sulle colonne di Formiche.net, il perimetro delle sfide per la Chiesa che verrà dopo la scomparsa di papa Francesco.
Monsignore, che Chiesa si troverà chi verrà dopo Francesco?
La Chiesa di cui abbiamo bisogno, quella che ci ha lasciato papa Francesco. Una Chiesa proiettata all’esterno, che guarda ai popoli di tutto il mondo e che non è avviluppata su se stessa ma che sa guardare al di fuori. Questo è stato un messaggio importante che ha caratterizzato molte delle azioni del suo pontificato.
Il Conclave saprà essere all’altezza di questa sfida?
I cardinali riuniti in Conclave non potranno prescindere dal valutare l’esigenza del momento in cui viviamo. La Chiesa nel suo rapporto con il mondo in una fase storico-socio-politica molto complessa i cui effetti si riverberano anche all’interno dell’istituzione stessa. Dalle guerre alle migrazioni, passando per la salvaguardia ambientali, la questione climatica. Da tutto questo non si potrà prescindere.
Si aspetta una successione in continuità con il magistero francescano?
Difficile fare previsioni di questo genere. Certo è che chiunque verrà avrà molto da fare, anche sul piano delle strutture organizzative interne. I processi avviati da Francesco devono essere in qualche modo portati a compimento, anche se ogni pontefice ha le sue priorità. Ma chiunque gli succederà penso che avrà questa consapevolezza: nessuno potrà stare fuori dell’agenda dettata da Francesco. Che poi era l’agenda dei grandi accadimenti globali e internazionali.
La Fratelli Tutti, terza enciclica del pontificato di Francesco, disegna una nuova traiettoria anche del modo in cui comunicare il messaggio evangelico. Immagina che questo possa essere portato avanti?
Francesco immaginava una chiesa “in uscita” e su questo è stato un profondo innovatore anche rispetto ai suoi predecessori. Così deve essere la Chiesa di questi tempi incerti. Fuori dalle logiche del clericalismo, evitando il più possibile di essere autoreferenziale. Il Vangelo va portato fuori, a tutti. Su questo penso non ci possano essere passi indietro.
Pensa che la decisione di Donald Trump di partecipare ai funerali del pontefice vada oltre la formalità e che possa ricucire il rapporto fra Santa Sede e Stati Uniti?
La morte del pontefice è un fatto che in qualche modo ha già ricompattato tante forze, ma nel nome delle fragilità. La comunità cattolica statunitense è molto importante ed è significativo che il presidente Trump abbia scelto di venire in Italia. È stato smosso anche lui. Ma la vera forza di cui parlava Francesco e che ancora muove questi equilibri è quella della fragilità: non è un paradosso, è l’essenza più profonda del suo messaggio.
Lei aveva un rapporto stretto con il papa. Cosa le resta, sul piano personale, di questa consuetudine?
Un ricordo straordinario, fin dal primo giorno di pontificato. Per la verità io lo conobbi diversi anni prima che venisse eletto al soglio, in Spagna. Fu lui a ricordarmi del nostro primo incontro. Il nostro rapporto poi divenne pressoché quotidiano. Parlavamo di tantissime cose. Era tormentato dal dramma dei conflitti in corso, dai problemi che affliggono gli anziani, i migranti e gli ultimi in generale. La sua volontà era di stare tra loro, ascoltarne la voce. E così ha fatto, fino all’ultimo giorno. Questo è un messaggio fondamentale. Anche per colui che gli succederà.