Tra pochi giorni Giorgia Meloni incontrerà Donald Trump. Sono certo che porterà con sé non solo la voce dell’Italia, ma soprattutto quella dell’Europa e dei nostri alleati nel mondo. Perché questa fase incerta può essere superata solo con unità, fermezza e lungimiranza
Viviamo un tempo di mutamenti rapidi e profondi, che generano in molti – e in me – un senso di smarrimento personale. Lo provo in modo particolare osservando il cambiamento radicale di tono dell’amministrazione americana nei confronti dell’Europa. L’America che da ragazzo ammiravo e che tuttavia ammiro ancora come faro storico di democrazia liberale, esempio di apertura, solidarietà e speranza per l’umanità alle prese con tiranni e poteri oscuri, oggi assume atteggiamenti ostili e sconcertanti.
Si minacciano annessioni di Groenlandia e Canada, o richieste all’Ucraina di risarcimenti in minerali rari, pena l’abbandono all’invasione russa. È una retorica surreale. È come se un chirurgo, durante un’operazione a cuore aperto, ricattasse il paziente sotto i ferri per ottenere la sua eredità. Immagine estrema, eppure efficace per descrivere il clima che si respira.
Fa ancora più male assistere alla riabilitazione pubblica di Vladimir Putin, promosso da “potenza regionale” a interlocutore globale di primo piano, nonostante tre anni di massacri, bombardamenti quotidiani e disprezzo per ogni norma internazionale. Eppure dobbiamo avere in mente e nel cuore l’America del piano Marshall, della liberazione dal nazifascismo, del sostegno all’Europa durante la Guerra Fredda. Dev’essere ancora viva nella nostra memoria i legami profondi della nostra storia, come lo sono nei cittadini americani.
A noi europei – e a chi oggi in Europa ha responsabilità di governo, come Giorgia Meloni – spetta il compito di tenere accesa la fiaccola del dialogo e del rapporto transatlantico. Servono parole chiare, coraggio e visione. Anche per affrontare un conflitto economico che rischia di ritorcersi contro chi lo ha innescato.
I dazi, pensati come arma di pressione, sono in realtà un boomerang. In un mondo dove le economie sono profondamente interconnesse, ogni colpo inflitto genera una reazione a catena: l’inflazione aumenta, i tassi d’interesse salgono, gli investimenti si riducono, l’occupazione ne risente. Il sistema globale entra in tensione. Anche il dollaro, finora moneta di riferimento per gli scambi internazionali, rischia di perdere centralità. E potrebbero nascere nuove alleanze economiche fondate su valute alternative.
Ma qual è l’obbiettivo? Forse alzare i tassi per attrarre capitali, rafforzare il dollaro a scapito dell’euro, dello yen, delle valute emergenti, rendendo più onerosi i debiti contratti in dollari, ottenere delocalizzazioni produttive? È evidentemente una strategia aggressiva, che punta a disarticolare i rapporti multilaterali per affrontare ogni Paese singolarmente, facendo leva sulla paura e sull’isolamento. Ma è anche un gioco d’azzardo, che può sfuggire di mano.
Se gli Stati colpiti non si piegheranno, alla lunga nasceranno nuove rotte commerciali e nuovi equilibri. L’America perderebbe prestigio e autorevolezza, in un mondo ammaccato ma non più unipolare. Tra pochi giorni Giorgia Meloni incontrerà Donald Trump. Sono certo che porterà con sé non solo la voce dell’Italia, ma soprattutto quella dell’Europa e dei nostri alleati nel mondo. Perché questa fase incerta può essere superata solo con unità, fermezza e lungimiranza.
Diversamente, questo passaggio storico rischia di procurare sofferenze all’Occidente, e di regalare occasioni pericolose a quei regimi autoritari che non aspettano altro che un nostro indebolimento per esercitare nuove forme di dominio.