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Non solo Forze armate, il pilastro europeo della Nato si gioca sull’industria

I titoli europei della difesa volano in borsa, forti delle aspettative degli investitori e dell’entusiasmo dei mercati, ma la vera sfida sarà tradurre le promesse in capacità concrete. Negli Stati Uniti, la competizione tra contractor storici del Pentagono ed emerging tech si acutizza, mentre si fa sempre più incalzante la necessità di mettere al riparo le supply chain occidentali dalle interferenze esterne

Il settore della difesa in Europa sta vivendo una fase di inedita vitalità sui mercati finanziari. I numeri parlano chiaro: da inizio anno, le principali aziende europee del comparto hanno registrato crescite a doppia e, in alcuni casi, a tripla cifra. I titoli di Bae Systems, Leonardo, Thales e Rheinmetall sono infatti saliti rispettivamente del 63%, 82%, 91% e 164%. L’ascesa delle aziende europee sui mercati riflette una più ampia ridefinizione delle priorità industriali e operative del continente. Gli investitori, infatti, leggono positivamente i segnali che, da Bruxelles alle singole capitali europee, vanno nella direzione di una domanda pubblica in crescita e di un maggiore sostegno alle industrie continentali nei prossimi anni.

Gli Usa rimangono leader nella produzione

Dall’altra parte dell’Atlantico, la situazione appare meno lineare. Nonostante l’annuncio da parte dell’amministrazione Trump di un budget record da mille miliardi di dollari per la Difesa nel 2026, il comparto industriale tradizionale degli Stati Uniti – come Lockheed Martin, Rtx, Northrop Grumman, L3Harris, General Dynamics – registra performance più incerte. L’attenzione della Casa Bianca verso programmi ad alta tecnologia – come il sistema di difesa spaziale Golden Dome – sta dirottando le risorse e le aspettative degli investitori verso attori emergenti come SpaceX, Palantir e Anduril, aziende nate fuori dai circuiti tradizionali della difesa, ma oggi centrali nella visione di Trump. A questo si aggiungono ulteriori elementi di incertezza legati alle tensioni sui dazi e ai rincari sul costo delle materie prime, incluse le terre rare (la sola Rtx prevede, nel 2025, un impatto negativo di 850 milioni di dollari). 

Tuttavia, nel comparare i due mercati, non bisogna farsi trarre in inganno dagli entusiasmi tipici dei mercati finanziari. Seppure in una fase di riallineamento, l’industria Usa dispone di capacità produttive reali e consolidate, mentre le performance europee sui mercati rimangono aleatoriamente legate alla promessa di un aumento degli impianti e della capacità. Promessa che, ad oggi, deve ancora tradursi in realtà effettiva. 

Un’opportunità per riequilibrare il rapporto atlantico?

Se è vero che i mercati guardano all’Europa con crescente fiducia, è altrettanto evidente che gli Stati Uniti continuano a rappresentare il punto di riferimento in termini di massa critica industriale e capacità tecnologica. Questa complementarità tra risorse potenziali e know-how consolidato potrebbe diventare la chiave per rispondere alle richieste statunitensi di un maggiore impegno europeo nella sicurezza collettiva, rafforzando al contempo le supply chain transatlantiche contro le infiltrazioni esterne, pur mantenendo l’obiettivo di rilanciare le capacità domestiche europee. La sfida non è delle più semplici e le posizioni da conciliare sono molte, ma la posta in gioco è la resilienza dell’ecosistema industriale occidentale. Laddove gli europei sono pronti a investire, gli Stati Uniti possono giocare il ruolo di acceleratore per lo sviluppo di un pilastro europeo della Nato integrato non solo sul piano militare, ma anche su quello industriale. Accelerazione di cui, in questo momento, l’Europa ha un disperato bisogno.


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