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Piano Mattei, Balcani, Ue. Le carte di Meloni sul tavolo di Trump secondo Minuto Rizzo

“Che Meloni a Washington rappresenti l’Europa è un po’ implicito: siamo membri dell’Unione europea, il trade è una competenza comunitaria per cui spero che gli altri Paesi membri vedano con simpatia la visita italiana. Questo governo guardando alla politica estera ha conferito all’Italia un profilo più alto di prima. Mi riferisco al Piano Mattei che comunque indica una direzione e una priorità”. Conversazione con l’esperto diplomatico, Alessandro Minuto Rizzo

“In Italia abbiamo un buon polo industriale, che già serve Nasa, Pentagono e Esa, in più abbiamo un progetto interessante come il Piano Mattei da mettere sul tavolo americano. Per cui possiamo ritagliarci un ruolo euroatlantico preciso anche agli occhi di Donald Trump: a questo governo riconosco di aver portato l’Italia in alto sul piano internazionale”. Mancano poche ore alla visita alla Casa Bianca di Giorgia Meloni, e queste parole che affida a Formiche.net l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo rappresentano il punto di partenza di una più ampia riflessione, che tocca la difesa, il Mediterraneo, l’approccio innovativo verso l’Africa e l’attenzione verso Paesi cosiddetti più piccoli ma che contribuiscono a formare il puzzle della geopolitica. L’esperto diplomatico, già vice segretario generale della Nato dal 2001 al 2007, ha servito come consigliere diplomatico dei ministri della Difesa, Nino Andreatta e Carlo Scognamiglio, ed è attualmente presidente della Nato Defense College Foundation.

Quali carte giocherà la premier in occasione del suo incontro con Trump?

É fisiologico che un presidente del Consiglio italiano vada a visitare il presidente degli Stati Uniti perché l’Italia è da sempre un alleato molto importante degli Usa. La politica non è solo quella che sta sulle prime pagine dei giornali, è ciò che succede tra amministrazioni e rappresentanti nella quotidianità. Partirei con i dazi, che non mi piace chiamare guerra commerciale: oltre al rinvio di 90 giorni, gli americani hanno detto che si tratta con l’Europa tutta insieme. D’altra parte il trade è una competenza comunitaria anche se molta gente non lo sa, quindi tratterà chiaramente la Commissione europea per tutti. Il presidente del Consiglio cercherà di rassicurare gli Stati Uniti che farà il possibile per riequilibrare gli avanzi e per investire di più oppure comprerà più energia. Ma non è tutto.

Si riferisce alla guerra e alla geopolitica delle alleanze?

In primis l’Ucraina, importante naturalmente soprattutto per l’Europa. Sulla guerra gli americani non hanno mai avuto una vera priorità perché, se ci ricordiamo bene, anche Biden che spesso è stato considerato un guerrafondaio, in realtà aveva sempre detto che non era in guerra con la Russia e aveva fino all’ultimo momento impedito qualunque azione armata degli ucraini sul territorio russo. Non dimentichiamoci che siamo in presenza di una guerra asimmetrica: i russi possono colpire l’Ucraina ma l’Ucraina non può colpire la Russia, se non occasionalmente, quindi secondo me il premier deve dire quello che pensa. Io credo che gli americani gradiscano questo approccio. Un Paese come l’Italia è chiaramente schierato come alleato degli Stati Uniti e deve esprimere su alcuni argomenti quella che è la sua posizione nazionale.

Sul tema cinese il governo ha fatto molto, come l’uscita dalla Via della Seta…

Penso che Meloni potrà sottolineare il fatto che l’Italia, avendo abbandonato quell’accordo, si trova attualmente in una posizione per così dire “normale” verso la Cina: non siamo particolarmente amici della Cina. Ma andrei anche oltre, spingendomi fino alla nostra postura in Africa con il Piano Mattei che rappresenta un fatto positivo. Non credo che gli americani abbiano qualcosa da obiettare su questo. Tra l’altro, che Meloni a Washington rappresenti l’Europa è un po’ implicito: siamo membri dell’Unione Europea, il trade è una competenza comunitaria per cui spero che gli altri Paesi membri vedano con simpatia questa visita italiana.

Gli Stati Uniti in questa contrapposizione con la Cina hanno capito che l’Europa serve per controbattere lo strapotere di Pechino?

No, secondo me ancora non l’hanno capito. In generale penso che noi dovremmo aspettare che l’amministrazione americana “digerisca se stessa”, perché è arrivata solo il 20 gennaio scorso e due mesi sono davvero pochi per capire e capirsi. Siamo abituati ogni giorno ad avere una notizia dagli Usa, ma ricordiamoci che anche Obama era partito dal pericolo di guerra e poi è stato sempre più apprezzato dagli europei. Per cui diamo tempo agli americani. In secondo luogo i membri dell’amministrazione Trump sono quasi tutti nuovi e credo si conoscono poco tra di loro, magari cominciano a conoscersi adesso e servirebbe anche un po’ di prudenza nel fare dichiarazioni apocalittiche. Mi riferisco al Segretario della Difesa ma anche al vicepresidente, sono persone che non conoscono bene l’Europa. Secondo me se la conoscessero meglio magari cambierebbero anche idea.

In che senso?

Nel senso che in fondo gli europei sono i migliori alleati che hanno, perché anche in Afghanistan l’Europa è sempre stata con gli Stati Uniti. Perché dovrebbero avere qualcosa contro l’Europa quando sono storicamente i migliori alleati? Certo, se esiste un tema di avanzo commerciale se ne può parlare, ma non è una tragedia e tutto si può risolvere.

Anche perché l’Europa ha una serie di dossier interconnessi con gli Stati Uniti: dai Balcani, al Mediterraneo, dal Medio Oriente all’Indo Pacifico. Quale contributo può offrire il governo Meloni?

Un buon contributo su tutti i fronti. Ricordo che ad esempio durante le crisi balcaniche alla fine degli anni ’90 l’amministrazione americana veniva in Europa e chiedeva all’Italia di essere presente nei Balcani perché ci definiva un elemento di sicurezza, ci stimolava a mandare consiglieri, supportare, dialogare. Siamo un Paese che fortunatamente ha buoni rapporti un po’ con tutti: che l’Italia eserciti un ruolo positivo nel Medio Oriente in Africa è una cosa abbastanza semplice da spiegare. Ciò che posso aggiungere sull’oggi è che il governo Meloni, indipendentemente dal suo colore, guardando alla politica estera ha conferito all’Italia un profilo più alto di prima. Mi riferisco al Piano Mattei che comunque indica una direzione e una priorità.

Sulla difesa Italia e Stati Uniti condividono tante interlocuzioni, anche industriali, oltre che politiche. Come si può rafforzare questo legame alla luce della nuova amministrazione americana?

In Italia abbiamo un buon polo industriale, che già serve Nasa, Pentagono e Esa, in più abbiamo un progetto interessante come il Piano Mattei da mettere sul tavolo americano. Per cui possiamo ritagliarci un ruolo euroatlantico preciso anche agli occhi di Donald Trump. Dal punto di vista industriale non ci può che essere un rafforzamento. Circa il loro impegno militare in Europa dovremmo aspettare un po’ perché è un tema che non è stato ancora chiarito: ad esempio ci sono delle voci che dicono che gli americani potrebbero rinunciare al ruolo di comandante supremo in Europa della Nato. Vedremo. Però anche tutte queste voci rientrano nel precedente ragionamento, cioè vi è molta gente nuova nell’amministrazione Trump, che fa analisi ma non vedo decisioni ostili per il momento. È un terreno su cui si può sicuramente lavorare bene, come si è sempre lavorato fino adesso d’altra parte.

Guardando al prossimo meeting della Nato di giugno, quale può essere il ruolo dell’Italia che Meloni rivendicherà dinanzi a Trump anche alla luce del riarmo europeo?

Quando si parla di pilastro europeo della Nato siamo in presenza di un concetto che va considerato non come una forma istituzionale, piuttosto parlerei di un rafforzamento del ruolo degli europei accanto al fatto che gli europei possono parlare con gli Stati Uniti in maniera più paritaria. D’altra parte credo che sia molto utile anche all’Europa favorire questo collegamento fra l’Unione europea e la Nato perché ai miei tempi, quando sono stato il primo ambasciatore con Solana e poi segretario generale legato alla Nato, non c’erano buoni rapporti fra Alleanza atlantica e Unione Europea, a causa di una certa gelosia reciproca. Oggi l’Europa non si pone come ostacolo agli Stati Uniti e si parla sempre più di difesa comune europea con gli Stati Uniti che restano nella Nato. Si deve rafforzare il ruolo della difesa europea nel senso di fare più investimenti e avere delle forze armate più semplificate, con un approccio comune anche per le forniture. Osservo sul punto che esiste un passaggio delicato ma quasi mai indicato: dal 2002 c’è un accordo fra l’Unione Europea e la Nato, per cui l’Unione Europea ha la sua autonomia assoluta nel decidere le proprie operazioni. É stato fatto in Bosnia e in Macedonia.

Lei crede che la partita dei dazi sia connessa all’Ucraina e al prezzo del petrolio che cade, oppure pensa che sia a sé stante?

Io credo che sia abbastanza a sé stante nel senso che la persona Trump, anche in passato, sosteneva che gli Stati Uniti fossero sfruttati dai suoi partner internazionali: oggi punta a riequilibrare i conti. Non è vero, ma questa è un’idea su cui lui ha costruito la partita dei dazi. Questa tensione io credo che sarà risolta soprattutto dall’opinione pubblica americana che finirà per orientare il presidente verso l’estero: se i grandi investitori e la pubblica opinione americana avranno delle obiezioni, penso che lui dovrà tenerne conto per forza. Voglio dire che saranno probabilmente gli americani ad avere in mano il pallino del gioco, alla lunga.


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