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Resistenza, quando il 93° reggimento Fanteria si oppose ai tedeschi

Breve storia del 93° reggimento di Fanteria che rientrò in Italia il 18 settembre con tutte le armi e la Bandiera dopo essersi opposto ai nazisti. L’intervento di Giorgio Girelli, coordinatore Centro studi sociali “Alcide De Gasperi”

Ripetutamente Aldo Cazzullo ha rilevato che la “Resistenza” appartiene alla nazione, non a una fazione. Tra i partigiani c’erano uomini e donne di ogni fede politica: comunisti, socialisti, azionisti, liberali, cattolici, monarchici, per cui viene smentita la tesi che la maggioranza di essi fosse comunista anche attraverso l’esibizione di un lungo elenco di “resistenti” non comunisti.

In realtà fu il Partito comunista  – come ha spiegato Galli della Loggia – a utilizzare l’antifascismo come  “motivo fortissimamente identitario” e ad avvalersene quale “risorsa politica di esclusiva proprietà”. Cosa non avvenuta in Francia, Paese in cui la “Resistenza” antifascista ebbe nel tradizionalista ed anticomunista generale De Gaulle il suo organizzatore, simbolo e capo riconosciuto. Né in Germania dove una sentenza della Corte costituzionale mise al bando il Partito comunista come forza antidemocratica.

E “non era comunista” neppure lo sceneggiatore marchigiano Alberto Ciambricco, ricordato per essere stato, assieme al collega Mario Casacci, il creatore della figura del Tenente Sheridan, impersonato dal noto attore Ubaldo Lay, nonché ideatore, nel 1959, sempre assieme a Casacci, della trasmissione televisiva Giallo club. Invito al poliziesco.

Trascorreva negli anni Cinquanta le vacanze a Pesaro alloggiando in ambienti subaffittati presso privati. In quel periodo si trattava di prassi frequente cui le famiglie ricorrevano per arrotondare i magri stipendi.

Non era comunista neppure il 93° Reggimento di fanteria – composto per il 75 per cento da marchigiani – facente parte della divisione Messina dislocata, alla data della entrata in guerra dell’Italia, nella zona compresa tra Ancona, Fabriano e Fossombrone. L’unità, nell’ambito della quale il ventunenne Ciambricco  prese parte alla Seconda guerra mondiale, era di stanza nella caserma Villarey di Ancona e si addestrava nel territorio marchigiano.

Nell’aprile 1941 le venne impartito l’ordine di trasferirsi, in assetto di guerra, a Bari e, di qui, in Albania. Prese parte ad operazioni a Cettigne e Cattaro. L’8 settembre 1943 i reparti del 93º erano dislocati a Ploca, Grada e Curzola, a nord-ovest di Ragusa. Si opposero alla consegna delle armi reagendo con scontri a fuoco contro i tedeschi. Concentratisi successivamente nell’isola di Curzola, si imbarcarono dirigendosi verso le coste italiane. La motonave “Salvore” – racconta Ciambricco che vi si trovava a bordo – insieme a diversi pescherecci trasportava il 93°.

Durante la navigazione fu bombardata e mitragliata da nove Stukas decollati dall’aeroporto di Mostar. I militari italiani reagirono “all’attacco con tutte le armi disponibili: fucili, mitragliatori, mitragliatrici e mitragliere di bordo. Avemmo parecchi morti e feriti – racconta Ciambricco –  ma riuscimmo a non farci centrare dalle bombe”. Nonostante che la maggior parte dei soldati e degli ufficiali del 93° fossero marchigiani (incluso Ciambricco, nato nel 1920 a Fabriano) e che raggiungere il porto di Ancona sarebbe stato facile e molto meno pericoloso, la destinazione prescelta fu Brindisi dove il governo italiano aveva fissato la sua sede. Qui i militari del 93° Reggimento, rientrati in Italia il 18 settembre con tutte le armi e la Bandiera, “per diverso tempo furono le uniche truppe a disposizione delle autorità di governo”. In seguito fornirono “complementi” ai costituendi “Gruppi di combattimento” e al battaglione “San Marco” per essere infine inglobati nella divisione “Piceno”.

 


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