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Un ricordo di papa Francesco, pontefice “tutto intero”. Scrive Menorello

Il network Ditelo sui tetti ha promosso lo scorso anno il Festival dell’“umano tutto intero”. E in questi giorni, il primo uomo da rispettare “tutto intero” è papa Francesco. L’intervento di Domenico Menorello, vicepresidente del Movimento per la Vita e coordinatore del network “sui tetti”

Il network “Ditelo sui tetti” lo scorso giugno (e speriamo anche il prossimo!) ha sentito l’esigenza di un «Festival dell’“umano tutto intero” (Wojtyla)». In questi giorni, il primo uomo da rispettare “tutto intero” è Papa Francesco, che certe sedute parlamentari come troppi dibattiti pubblici stanno strattonando verso le proprie più disparate latitudini politiche e ideologiche. “Un Papa a la carte”, ha notato Susanna Tamaro sulle pagine del Corsera del 24 aprile.

Invece, il rimbalzo emotivo, che accumuna l’intera umanità per i fatti di Pasqua e dell’alba seguente, propone a tutti almeno di volgere lo sguardo a ciò che Francesco stesso diceva essere il punto sorgivo di quel suo sorriso, che per così tanti ha meritato persino ore e ore di faticosa fila.

“Non ho molto da darvi o offrirvi” – spiegava ai detenuti del carcere boliviano di Palmasola il 10 luglio 2015 (citato nel bell’articolo di Lucio Brunelli del 23 aprile in www.clonline.it ) – ma quello che ho e quello che amo, sì, voglio darvelo, voglio condividerlo: è Gesù, Gesù Cristo, la misericordia del Padre”.

Non un’etica o prospettive sociali o ambientali, per quanto buone. Nemmeno “un dio generico”, come il “dio di Voltaire”, il “Deus sive Natura”. No. Piuttosto una Persona, “la” Persona di Gesù, il “Dio della bibbia”, quel “Dio che si è chinato sul solco delle povere vite e si è preso cura di noi” (cfr. Aldo Cazzullo, Corsera, 19 aprile 2025).

Perché ci è così difficile semplicemente sgranare gli occhi di fronte all’unico dono che “vuole offrici” Papa Francesco? “Perché abbiamo smarrito la fede ereditata dai padri, per i quali l’esistenza di Dio era certa come il fatto che il sole sorge e tramonta, e che sotto l’occhio di Dio sentivano di vivere” (Cazzullo, cit.). È esattamente la geniale e dirimente questione culturale e sociale intuita e costantemente insistita da Papa Francesco, opportunamente richiamata anche dalla Premier nel suo recente intervento alle Camere: “Siamo in un vero e proprio cambio d’epoca”, ma “capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima”, (Incontro con la Cei, 10 novembre 2015).

Francesco stesso ci soccorre. Offre una leva all’“uomo che non sa più chi è” (Ratzinger, 2019), chiedendoci “una coscienza che non sia autosufficiente ma profondamente mendicante” (Lettera 20.1.2007). Susanna Tamaro vede nitidamente questo suo primo aiuto, che ci propone di “far emergere le domande che contano. Chi sono veramente, che senso voglio che abbia la mia vita, per quale scopo sono in questo mondo? Tutte domande che portano al cuore” e che fondano l’oggettiva indisponibilità della vita. Sempre. Anche quando è nel minuscolo abbrivio iniziale o molto ferita, alla fine. Così, quando ci si dimentica di Bergoglio “tutto intero”, significa ignorare proprio quelle stesse “domande che contano”, senza le quali, però, vi è la più grave “falsificazione dell’umano” (Susanna Tamaro, cit.).


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