L’evento “Eastern Europe 2025” ha messo in luce le molteplici sfide che minacciano la stabilità dell’Europa orientale. Leader e analisti si sono espressi a favore di una visione di lungo termine che integri difesa, sviluppo economico e lotta alle minacce ibride. All’interno di un contesto geopolitico globale tutt’altro che stabile
“Un approccio trasversale sulla questione, affrontata da diverse angolature”. Questa la definizione utilizzata dall’Ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, presidente del Nato Defence College Foundation, nel suo intervento di apertura dell’evento “Eastern Europe 2025 – Protecting the region from blended threats”, organizzato dalla stessa Ndcf in collaborazione con l’International Council on Environmental Economics and Development, la Fondazione Compagnia di San Paolo, il Nato Defence College Foundation e Mbda. Attraverso l’intero pomeriggio relatori e moderatori, introdotti da Minuto Rizzo, dal Co-Chair of Customs & Trade Facilitation committee della Camera di commercio americana di Kyiv Oleksandr Prokhorovych, e dalla Dean Nato Defense College Suzanne Nielsen, si sono alternati sul palco per approfondire le diverse dinamiche che coinvolgono l’Ucraina e l’Europa come causa e conseguenza del conflitto.
A partire dall’aspetto securitario e in particolare dalla cooperazione in questo ambito, in un panel condotto dall’ex portavoce della Nato James Shea, dove emergono tutta una serie di potenziali (ma anche attuali) fattori di instabilità. A partire dall’interferenza russa e della fioritura dei partiti nazionalisti e populisti nell’Europa centro-orientale, come sottolinea Alina Inayeh, Lead Advisor di Aspen Institute Romania, che delinea tre futuri per l’Europa come combinato disposto di questo trend e dell’apparente sganciamento di Washington: quello dell’autonomia strategica, quello della frammentazione interna e quello del riallineamento con gli Stati Uniti. Scenari che non si auto-escludono a vicenda, e che anzi potrebbero susseguirsi sul piano temporale.
Sullo sganciamento degli Usa dall’Europa torna anche l’associate researcher dell’Istituto Affari Internazionali Thibault Muzergues, che esprime scetticismo verso l’ipotesi di un distacco drastico dai partner europei da parte di Washington, individuando però alcuni “misunderstandings” passati e presenti che ci sono stati tra le due sponde dell’Atlantico, come ad esempio il dare per scontata da perte degli europei la presenza americana nel Vecchio continente o il vedere la guerra come una cosa lontana nel tempo e nello spazio (una visione stravolta dallo scoppio del conflitto in Ucraina), oppure il presumere da parte Usa che un aumento delle spese della difesa dei Paesi europei si sarebbe tradotto automaticamente in maggiori vendite per le industrie della difesa americana, e non in uno sforzo per sviluppare una propria autonomia strategica. Ma, come rimarca il presidente di Aiad Giuseppe Cossiga, “abbiamo bisogno non solo di denaro, ma anche di una visione chiara del futuro. E al momento questa visione manca”. Suggerendo anche che il mercato della Difesa non funziona come il mercato normale, e che i vertici europei dovrebbero lavorare su questa base.
La sicurezza non è però relativa soltanto all’aspetto militare e politico, e tocca tutta una serie di sfumature più ibride. Come ad esempio quella dell’economia ombra, che secondo la Chief Policy Officer della Camera di Commercio Americana a Kyiv Oksana Shvets distorce le logiche competitive del mercato e allo stesso tempo porta a una perdita nell’erario pubblico, una perdita che conta. Come rimarcato anche dal parlamentare ucraino Oleksii Ustenko: “Le nostre tasse sono la sicurezza, sono i nostri soldati, sono le munizioni, sono le medicine”. È per combattere questo genere di minacce, tutt’altro che convenzionali, che è necessario ricorrere a quello che il Generale della Guardia di Finanza Vito Giordano definisce un “approccio integrato e trasversale”.
Combattere queste dinamiche sarà importante anche per favorire il processo di ricostruzione del Paese distrutto dalla guerra, un processo tanto importante quanto lungo. Proprio per questo è necessario avviare il processo il prima possibile, soprattutto con partner primari come l’Unione Europea, suggerisce la parlamentare ucraina Halyna Yanchenko. Ma, come ricorda il funzionario di Deloitte Central Europe, Tomasz Ochrymowicz, in questo processo non saranno coinvolti soltanto il governo ucraino e le istituzioni multilaterali, ma anche gli enti locali, i governi degli altri Paesi e gli investitori privati. Come fare dunque per stimolare gli investimenti, soprattutto da parte di questi ultimi? “Creando incentivi che spingano i capitali privati a mobilitarsi autonomamente”, suggerisce il responsabile delle relazioni istituzionali di Cassa Depositi e Prestiti Enrico Petrocelli.
Alle discussioni dei panel si alternano anche alcuni interventi diretti, come quello della vice-direttrice della Banca Europea per gli Investimenti Teresa Czerwińska che ricorda come il suo istituto e l’Ue nel suo complesso siano stati a fianco dell’Ucraina sin dai primi giorni dell’invasione, e che siano pronti a rimanerle a fianco anche dopo la fine di questo drammatico conflitto. O come quello del senatore Francesco Boccia, che si è concentrato sulla profonda riflessione che l’Europa deve fare in questo momento come attore globale riguardo al conflitto in Ucraina e non solo, schierandosi a tutela dei suoi principi fondativi. O ancora, quello del senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, che chiudendo i lavori celebra quella “forza della libertà che gli Ucraina sentono dentro di sé, e grazie alla quale difendono la propria patria, ma anche l’Europa”.