Si torna al modello della grande coalizione, con un cancelliere che ha un passato nel mondo della finanza e che ora, sul piano politico, ha fatto chiaramente capire di voler mettere in atto iniziative finalizzate a dare nuova linfa economica alla Germania. Per l’Italia è un’ottima notizia. I dazi? La trattativa deve essere multilaterale. Positiva la risposta della Commissione. Meloni in Usa: iniziativa bilaterale. Colloquio con l’economista della Luiss, Veronica De Romanis
Dopo quarantacinque notti, è giunta l’alba. Spd e Cdu/Csu hanno siglato l’accordo che sancirà il via libera al nuovo esecutivo tedesco guidato dal cancelliere Friedrich Merz. In un contesto come quello attuale, che sul piano geopolitico presenta diverse turbolenze, la nuova compagine dell’esecutivo tedesco rappresenta “un punto fermo importante, anche per il nostro Paese, in particolare in virtù delle forti interconnessioni tra le nostra e l’economia tedesca”. A dirlo, sulle colonne di Formiche.net, è Veronica De Romanis, docente di economia europea alla Luiss.
Professoressa de Romanis, come si presenta anche in prospettiva europea il nuovo esecutivo guidato da Merz?
Si torna al modello della grande coalizione, con un cancelliere che ha un passato nel mondo della finanza e che ora, sul piano politico, ha fatto chiaramente capire di voler mettere in atto iniziative finalizzate a dare nuova linfa economica alla Germania. Un piano di investimenti di cinquecento miliardi in dodici anni sulle infrastrutture e robusti stanziamenti nell’industria della difesa. Tutto questo perché il Paese ha uno spazio fiscale che glielo consente.
Per l’Italia, dato il livello di interconnessioni delle filiere produttive, la crescita della Germania è positiva. Ma sul piano politico, anche in vista del viaggio di Meloni in Usa, come vanno impostati i rapporti fra i due Paesi?
È evidente che se la Germania va male sul piano economico, è un grosso problema anche per noi. Per cui penso che anche sul piano politico-relazionale occorra consolidare e rendere sempre più stretti i rapporti fra i due Paesi. Merz sarà sicuramente un interlocutore importante per Giorgia Meloni. Sul viaggio in Usa, va tenuto presente che la premier italiana non ha ricevuto un mandato europeo, sarà invece un incontro bilaterale.
A proposito di Stati Uniti, come si spiga la retromarcia di Trump sui dazi – al momento sospesi per novanta giorni – e la successiva battuta d’arresto delle contromisure europee?
Il presidente Trump probabilmente ha capito che ciò che stava facendo non aveva alcun senso sul piano economico né per risolvere il problema del deficit di bilancio né per quello commerciale. Bisogna invece agire per tentare di ridurre l’eccesso di domanda interna: i dazi servono solo ad agitare i mercati. L’Europa ha fatto bene a mostrarsi capace di reagire su tre fronti che devono viaggiare in parallelo.
A cosa si riferisce?
L’introduzione, laddove fosse necessaria, dei cosiddetti “dazi politici”, la diversificazione dei mercati e i negoziati. Nessuna di queste tre dimensioni deve essere forzata e mi sembra che da parte della Commissione europea ci sia grande equilibrio nel portare avanti queste iniziative in una sorta di maxi “pacchetto”.
Sulla base di quali elementi andranno discussi eventuali negoziati?
In termini di mercato bisogna agire sui beni e sui comparti nei quali gli Usa hanno più esigenze in termini di export e noi meno in termini di import. Con un focus particolare sulle Big Tech.
L’incontro fra Meloni e Trump potrà favorire una sorta di distensione sul piano economico e politico in questa logica?
La politica commerciale è di competenza europea, fortunatamente. L’incontro Meloni-Trump avrà una dimensione bilaterale ma è nella dimensione della multilateralità europea che vanno condotte queste trattative. Trump si deve sedere al tavolo avendo davanti 450 milioni di consumatori europei, non sessanta milioni di italiani.
Gli ultimi dati Istat certificano il 25esimo calo consecutivo della produzione italiana. Come va letto questo dato?
È un dato che ci deve far risvegliare dalle illusioni di rimbalzi che si sono registrati dopo la fase pandemica. Per tentare di uscire da questo impasse la parola d’ordine deve essere: riforme. È controproducente pensare che i problemi della produzione industriali si possano risolvere distribuendo fondi a pioggia come è stato fatto con il Superbonus. Ci vogliono riforme strutturali che eliminino gli ostacoli alla produttività.