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Storia dei rapporti tra il cattolicesimo e la Cina. La ricostruzione di Valori

Il cristianesimo arrivò in Cina nel 635 d.C. con i nestoriani. I rapporti ufficiali tra Cina e Vaticano si svilupparono dal XIII sec. e culminarono nel 1946 con relazioni diplomatiche. Il Card. Costantini fu centrale nel dialogo con la Cina, promuovendo clero locale e cultura cinese. Dal 2018 la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese hanno firmato uno storico accordo sulla nomina dei Vescovi, rinnovato nel 2020, 2022 e 2024. Grazie a esso, tutte le ordinazioni episcopali recenti sono avvenute in comunione con il Papa, sanando divisioni decennali. L’Accordo riflette il “metodo Costantini”, basato sul dialogo e sull’inculturazione. Il Vaticano auspica una presenza stabile in Cina e rapporti sempre più profondi

L’introduzione del cristianesimo dall’Impero Romano d’Oriente alla Cina risale al nono anno dell’imperatore Taizong durante la dinastia Tang – cioè 635 d.C. Però si trattava del cristianesimo nestoriano: da Nestorio, patriarca di Costantinopoli (ca. 381-451). Tuttavia, gli scambi di inviati diplomatici tra la Santa Sede cattolica romana e la Cina, in realtà iniziarono con la diplomazia tra la Mongolia e la Santa Sede. Nel 1245, papa Innocenzo IV (1195-1243-54) inviò un inviato in Mongolia per persuadere la reggente mongola Töregene Khatun a non importunare le delegazioni occidentale.

Nel 1271, Kublai Khan (1215-60-94) si definì ortodosso delle pianure centrali e stabilì formalmente la dinastia Yuan (1279-1368). Dopo la dinastia Yuan, nonostante la venuta in Cina del missionario italiano il gesuita di Macerata Padre Matteo Ricci (1552-1610) cartografo, matematico, astrologo, il primo sinologo occidentale; la sua tomba è a Pechino (il primo straniero, non ambasciatore, sepolto in Cina).

Gli scambi ufficiali tra Cina e Vaticano furono completamente interrotti durante la dinastia Ming (1368-1644). Dopo l’istituzione della dinastia Qing (1644-1911), i missionari tedeschi Johann Adam Schall von Bell e Ferdinand Verbiest vennero in Cina. Dopo la I Guerra dell’Oppio (1839-42), la Francia sostituì il Portogallo nel controllo dei diritti di protezione in Cina, e l’ostruzione della rivolta dei Boxer fece sì che gli sforzi per stabilire relazioni diplomatiche tra Cina e Vaticano nel periodo Qing andò incontro a fallimento.

Che impatto ha portato il diritto di protezione? Questo riflette ironicamente il problema prima dell’accordo del 2018 (infra): a quel tempo, i francesi avevano l’ultima parola su chi scegliere come Vescovi, Arcivescovi e altro clero in Cina. Non hanno mai consultato il Vaticano.

Il 10 ottobre 1910, la rivolta di Wuchang della Rivoluzione del 1911 rovesciò la dinastia Qing e fu fondata la Repubblica di Cina. Nel 1922 la Santa Sede inviò a Pechino l’Arcivescovo mons. Celso Benigno Luigi Costantini (1876-1958) come primo rappresentante apostolico in Cina, ma a quel tempo le relazioni diplomatiche non erano ancora state ufficialmente stabilite.

Mons. Costantini, fu l’artefice principale del Concilio di Shanghai tenutosi 15 maggio al 12 giugno 1924, in missione di primo Delegato apostolico in Cina dal 1922 al 1933, e successivamente incarichi a Roma come Segretario di Propaganda Fide e poi come Cancelliere di Santa Romana Chiesa.

Lo Stato della Città del Vaticano, come noto, fu istituito nel 1929. Nel giugno del 1942, quando era in corso la II Guerra Mondiale, il governo nazionale di Chongqing annunciò ufficialmente che avrebbe inviato Xie Shoukang (1897?-1973) come primo ministro cinese presso la Santa Sede, e la Cina e il Vaticano stabilirono ufficialmente relazioni diplomatiche.

Un episodio significativo dell’amore del Card. Costantini verso la Cina è il seguente. Quando egli venne a sapere dall’ambasciatore cinese in Vaticano, Xie, che Pio XII (1876-1939-1958) per il già raggiunto numero di Cardinali da creare in Concistoro agli inizi del 1946, non poteva creare un Cardinale cinese, mons. Costantini si recò da Papa Pio XII chiedendogli accoratamente che il suo nominativo fosse ritirato e sostituito con quello di un Vescovo cinese. Così avvenne. Nel Concistoro del 18 febbraio 1946 il Papa nominò il primo Cardinale cinese nella persona di mons. Tommaso Tian Gengxin (1890-1967), mentre mons. Costantini divenne Cardinale nel 1953.

Il fatto citato pare molto eloquente nel presentare la figura del Card. Celso Costantini costruttore di ponti tra il cattolicesimo e la Cina.

È noto che egli dovette partire in incognito onde evitare che la notizia della sua missione giungesse al governo francese, il quale, se l’avesse saputa, avrebbe certamente impedito la sua partenza, come aveva già fatto in precedenza in due altri casi di Nunzi nominati, ma ostacolati a raggiungere la loro sede a Pechino. Egli si rilevò l’uomo giusto al posto giusto, in grado di esprimersi egregiamente con linguaggi diversi – pastorale e diplomatico, artistico e politico – che gli permisero di compiere, in soli undici anni, gesta di primo livello fra la diplomazia della Santa Sede e il popolo cinese. Il Card. Costantini riteneva la Cina quale sua seconda patria che non ha mai più abbandonato, in quanto la missione di mons. Costantini assunse una connotazione che investi il rapporto tra la Chiesa cattolica e l’intero popolo cinese.

Il ruolo singolare da lui svolto registrò grande interesse nelle autorità civili della terra di Confucio, sempre in stretto dialogo con lui, anche nel tessere la trama per accordi tra la Santa Sede e la Repubblica Cinese, impediti dal governo di Parigi, ma che poi saranno suggellati dalle piene relazioni diplomatiche raggiunte nel 1946 tra i due soggetti di diritto internazionale.

Dopo il Concilio di Shanghai, convocato e presieduto da mons. Costantini nel 1924, Pio XII volle procedere all’elezione dei primi sei Vescovi cinesi, accompagnati a Roma nel 1926 dallo stesso Costantini per essere consacrati dal Papa e da lui stesso nella Basilica di San Pietro. Quando egli lasciò la Cina per motivi di salute nel 1933, i presuli cinesi a capo di circoscrizioni ecclesiastiche erano ben 23. Essi hanno costituito la linea della successione apostolica degli attuali Vescovi nella terra di Confucio.

Negli anni Cinquanta dopo Costantini confidò a Pio XII le gravi difficoltà da lui incontrate nel raggiungere tale risultato. Disse: “Purtroppo io ho trovato una vivace opposizione per la nomina dei primi Vescovi cinesi”. E detta opposizione, sia chiaro, giungeva principalmente dagli istituti missionari occidentali in Cina e molto meno dal governo della Repubblica Popolare della Cina.

Il Card. Costantini consigliò Pio XII a non leggere la situazione cinese con occhiali inadeguati, perché di scisma non si trattava in merito alla consacrazione senza mandato pontifico dei primi due Vescovi cinesi, avvenuta ad Hankou il 13 aprile 1958. Anche recentemente si sono levate accuse infondate di scisma e persino di apostasia in Cina, ma fortunatamente ciò non si è mai verificato, né in passato né tanto meno oggi. E poi non va dimenticato che nella stessa Europa sin dal Medioevo, l’imperatore nominava direttamente i Vescovi i quali ricevevano poteri spirituali, pubblici, territori e diocesi con l’approvazione papale obtorto collo (lotta per le investiture) – finché non si arrivò al patto, sancito dal Concordato di Worms in Germania (23 settembre 1122) fra Papa Callisto II e l’imperatore Enrico V, che pose fine alla lotta tra potere temporale e spirituale. Per cui è sempre la diplomazia a tenere banco.

Il suggerimento dato dal Card. Costantini al Papa non fu senza effetto: l’enciclica annunciata, pubblicata nel mese di settembre 1958 con il titolo Ad Apostolorum Principis di Pio XII, non parlerà affatto di “scisma” a carico di Vescovi cinesi ordinati illecitamente. In essa Pio XII ribadì pure il dovere dei cattolici di amare la propria patria, la Repubblica Popolare della Cina. E questo è esattamente quello che la Santa Sede chiede oggi al clero e ai fedeli nella terra di Confucio, distinguendo nettamente gli atti di valore civile da quelli di significato intrinsecamente religioso.

Dopo la fine della guerra, l’11 aprile 1946, papa Pio XII con la bolla Quotidie Nos annunciò l’istituzione del vicariato apostolico, elevato a diocesi, che comprendeva la città-prefettura di Lüliang nella provincia cinese di Shanxi – valeva a dire che la Cina accettava ufficialmente la giurisdizione della Santa Sede. L’Arcivescovo monegasco-libanese Antonio Riberi arrivò a Nanchino nel dicembre dello stesso anno e assunse l’incarico di primo ministro della Santa Sede in Cina.

Il 1° ottobre 1949, quando fu istituita la Repubblica Popolare della Cina, la Santa Sede non richiamò i propri funzionari. Considerando la sicurezza del clero in Cina, cercò immediatamente di stabilire relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare della Cina, ma il regime di Mao Zedong non se ne occupò.

Anche il movimento ecclesiale auto-organizzato dal governo cinese cominciò a prendere forma.

Nel 1957 è stata fondata l’Associazione patriottica cattolica cinese, che dal 1958 sceglie i propri Vescovi e celebra cerimonie di ordinazione, cioè autoselezionate e autoconsacrate. E da qui sono nati i problemi ben noti che oggi sono in via di risoluzione.

Quello che diversi studiosi hanno chiamato “il metodo Costantini” nei rapporti della Santa Sede con il più grande Stato dell’Asia, e fra i più importanti al mondo, rappresenta una direzione seguita, in modo più generale, pure da Papa Francesco (1936-2013-2025). Tale linea fu chiaramente tracciata da Papa Benedetto XVI (1927-2005-2013, †2022) nella sua Lettera ai cattolici cinesi del 27 maggio 2007 e si è concretizzata nell’Accordo provvisorio firmato a Pechino il 22 settembre 2018, auspice Papa Francesco. La qualifica di “provvisorio” indica che si tratta di un positivo punto di partenza, confermato per altre due volte, e che ha trovato importanti attuazioni nei casi concreti. Come ha affermato Papa Francesco in un suo discorso alla Curia romana. “Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi […]. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa”. Gli sviluppi positivi finora registrati ne fanno sperare ancora di maggiori all’orizzonte.

A seguito del suddetto Accordo, tutti i Vescovi nella terra di Confucio, succeduti a quelli che Costantini portò alla dignità episcopale, sono in piena comunione con il successore di Pietro. Si tratta di un bene enorme per i fedeli cinesi e per l’intera Chiesa cattolica, un bene che si riflette positivamente sulla Repubblica Popolare Cinese e contribuisce a consolidare un ordine internazionale di giustizia e di pace.

In questa direzione è auspicabile che prosegua in modo proficuo il dialogo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese. È augurabile altresì che continui il processo avviato dai cattolici cinesi per favorire la maggiore concordia possibile tra loro, sotto la guida dei loro pastori e in piena comunione con la Santa Sede, che tante prove ha dato di amare quel grande popolo, erede di una insigne civiltà, sentito dal Card. Costantini come “suo” per missione, ma anche per adozione. Il Card. Costantini ancora oggi è fonte ispirazione nel valorizzare le diverse culture. In tal modo viene favorita l’armonia nelle nazioni e tra tutte le nazioni nell’ambito dell’unica famiglia umana, che la Chiesa cattolica intende servire, scongiurando, mediante il dialogo e il negoziato, conflitti assurdi e tragici che purtroppo, anche al presente, insanguinano la faccia della terra.

Per cui dopo anni e anni di contatti fra le più raffinate diplomazie del pianeta, sì è giunti al predetto storico Accordo Santa Sede-Repubblica Popolate della Cina del 2018 e già prolungato due volte, nell’ottobre 2020 e nell’ottobre 2022 si rinnova il 24 ottobre non per i soliti due anni ma per altri quattro. Così si è posto fine a una lotta di potere cattolica romana durata decenni sulla nomina dei Vescovi cinesi.

Il Vaticano ha descritto una “situazione completamente cambiata” da quando l’accordo è stato firmato per la prima volta, sottolineando che dieci Vescovi erano stati ordinati e ordinati e che la Cina aveva ufficialmente riconosciuto “i ruoli pubblici di diversi Vescovi precedentemente non riconosciuti”. Si stima che in Cina ci siano circa sedici milioni di cattolici.

Per decenni, il Vaticano ha lavorato con attenzione e tenacia per raggiungere un accordo con il governo di Pechino sulle operazioni della Chiesa nella Repubblica Popolare della Cina, sostenendo che era necessario porre fine a questa situazione di stallo.

Quando l’accordo è stato rinnovato per la prima volta nel 2020, ha dovuto affrontare l’opposizione pubblica dell’amministrazione Trump. L’allora segretario di Stato Mike Pompeo avvertì che il Vaticano stava mettendo a repentaglio la sua autorità morale. Mike Pompeo aveva dimenticato una questione: l’Arcivescovo salvadoregno, Óscar Arnulfo Romero y Galdámez (1917-80), e altri sacerdoti dediti all’opera di riscatto morale ed etico dei propri fedeli, sono stati ammazzati e massacrati nelle repubbliche delle banane controllate dagli Stati Uniti d’America.

Dalla firma dell’Accordo, in Cina non si sono più verificate ordinazioni episcopali illegittime, quelle celebrate senza consenso papale, che dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso avevano ferito la comunione ecclesiale e provocato lacerazioni tra i cattolici cinesi. Negli ultimi sette anni, nella Repubblica Popolate della Cina sono state celebrate nove nuove ordinazioni episcopali cattoliche, con procedure che implicano l’emissione della bolla di nomina da parte del Papa. Nello stesso tempo, otto Vescovi cosiddetti “clandestini”, consacrati in passato senza seguire i protocolli imposti dagli apparati cinesi, su loro richiesta sono stati pubblicamente riconosciuti nel loro ruolo episcopale anche da parte delle autorità politiche di Pechino.

In occasione del Centesimo Anniversario del Concilio di Shanghai (maggio 2024), il Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin ha affermato: “Il Papa vuole che i cattolici cinesi amino il loro Paese e siano i migliori tra i cittadini. Il Papa ama tutte le Nazioni, come Dio, di cui è il Rappresentante; ama la Cina, vostra nobile e grande nazione e non la mette dopo nessun’altra”. Sempre con lo sguardo alla storia, Parolin si è soffermato sul Sinodo di Shanghai che rivestì “un significato ecclesiale più ampio”. L’assise cinese fu infatti “modello per molti altri Paesi di missione che, sul suo esempio, negli anni successivi si sarebbero preparati a celebrare i rispettivi sinodi nazionali”. Il Card. Parolin, ha messo in evidenza anche la promozione che il Card. Costantini fece in merito anche alle forme artistiche ed architettoniche cinesi “attraverso le quali avrebbe potuto ulteriormente concretizzarsi l’inculturazione della fede cattolica”. Al contempo, il Cardinale Segretario di Stato ha espresso la speranza di poter avere “una presenza stabile in Cina […]. Anche se inizialmente potrebbe non avere la forma di una rappresentanza pontificia e di una nunziatura apostolica, ma comunque potrebbe aumentare e approfondire i nostri contatti”.

Infine il Card. Parolin a fianco del Vescovo di Shanghai, Giuseppe Shen Bin, ha affermato: “Continueremo a costruire la Chiesa in Cina in una Chiesa santa e cattolica che sia conforme alla volontà di Dio, accetti l’eccellente patrimonio culturale tradizionale cinese e che sia gradita alla società cinese di oggi”.


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