Skip to main content

Usa e Iran si parleranno a Roma (ci sarà anche JD Vance?)

I colloqui tra Usa e Iran non sono andati male, e si pensa a un secondo round da ospitare a Roma. In quei giorni nella capitale italiana ci dovrebbe essere anche il vicepresidente Vance: e se dovesse partecipare agli incontri?

Roma si prepara a ospitare un secondo round di colloqui nucleari tra Stati Uniti e Iran, segnando un nuovo capitolo nei tentativi di riprendere un dialogo diretto dopo anni di silenzi e tensioni. Secondo due fonti che hanno parlato con Barak Ravid di Axios, sempre informatissimo su certe dinamiche, le delegazioni statunitense e iraniana si incontreranno sabato nella capitale italiana, dopo un primo confronto avvenuto due giorni fa in Oman. Questo primo contatto dopo anni di stallo, secondo le informazioni diffuse dagli americani, ha raggiunto il suo obiettivo principale: passare da un formato indiretto a uno diretto, con funzionari che parlano faccia a faccia.

La scelta di Roma come sede non è casuale. È stata proposta dalla parte americana, segnalando l’intenzione dell’amministrazione Trump di dare un respiro più ampio e visibile ai negoziati, anche sul piano geopolitico. Qui si gioca anche il coinvolgimento europeo, secondo un formato apparentemente diverso da quello degli “E3” (Francia, Germania, Regno Unito) che avevano contribuito a costruire l’accordo sul nucleare noto come Jcpoa. L’intesa — di cui l’Italia non era parte ma in cui era stata comunque attore presente  — era naufragata dopo l’uscita unilaterale americana durante il primo mandato di Donald Trump.

Il presidente statunitense aveva sempre sostenuto che un nuovo accordo sarebbe stato possibile, rivendicando che il precedente (di stampo obamiano, era poco utile per l’interesse dell’America). Di questo nuovo schema potrebbe essere parte più attiva l’Italia, e forse nei prossimi giorni il tema sarà anche sul tavolo degli incontri della presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Casa Bianca.

Un clima generale di sfiducia ha però pervaso questi ultimi otto anni, nonostante un tentativo di spinta da parte di Joe Biden. Ora il confronto, avvenuto nel fine settimana tra l’inviato speciale Usa Steve Witkoff e il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, è durato circa 45 minuti — molto più di quanto comunicato pubblicamente — e sarebbe stato, secondo chi ha seguito i lavori, “sostanziale, serio ed eccellente”, segnando quello che potrebbe essere un nuovo inizio.

Chiaro, il clima resta segnato dalla diffidenza e un singolo meeting non può stravolgere il sentiment consolidato in anni. Gli iraniani hanno sollevato preoccupazioni proprio sul ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare Jcpoa, temendo che Washington possa nuovamente sottrarsi agli impegni. Dal canto loro, i funzionari statunitensi hanno espresso dubbi sulle reali intenzioni iraniane riguardo al programma nucleare. Nonostante ciò, entrambe le parti sembrano vedere una possibile strada da percorrere.

Un nodo chiave resta il disarmo sostanziale del programma nucleare iraniano. Gli Usa vorrebbero vedere passi concreti da parte di Teheran per allontanare il programma da finalità militari. Una misura possibile potrebbe essere il cosiddetto “downblending” — cioè la diluizione dell’uranio arricchito al 60%, sufficiente secondo alcune stime per la costruzione di sei ordigni nucleari. Teheran, invece, ribadisce che l’obiettivo prioritario è la rimozione delle sanzioni.

Nonostante il cambio di sede, i mediatori omaniti saranno presenti anche a Roma, anche se non è escluso che questa volta i rappresentanti statunitensi e iraniani possano trovarsi nella stessa stanza. Un passo che, se confermato, segnerebbe una svolta nel metodo e nella sostanza del dialogo.

Dietro le quinte, l’inviato Witkoff avrebbe già riferito sui colloqui al presidente Trump e aggiornati anche il ministro israeliano per gli Affari Strategici, Ron Dermer. Israele resta scettico sulla possibilità di un’intesa e continua a premere su Washington per considerare un’opzione militare qualora i negoziati falliscano. Parallelamente, Araghchi ha aggiornato i suoi omologhi di Qatar, Kuwait ed Egitto, mentre Witkoff ha avuto colloqui anche con rappresentanti del Golfo, che avrebbero espresso sostegno alla linea americana.

A complicare ulteriormente il quadro, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Iaea) si prepara a una visita cruciale: il direttore generale Rafael Grossi sarà questa settimana a Teheran per discutere le attività di monitoraggio e verifica delle strutture nucleari iraniane.

Livello ulteriore: è se nel quadro dei colloqui comparisse JD Vance? Il vicepresidente degli Stati Uniti sarà a Roma nei giorni degli incontri — una coincidenza che non può passare inosservata. Se Vance dovesse partecipare, anche solo in una forma simbolica, rappresenterebbe un salto di livello nella portata politica dei colloqui. La sua presenza trasformerebbe l’incontro da negoziato tecnico a momento di peso strategico per la nuova amministrazione Trump, sottolineando l’interesse diretto della Casa Bianca nel gestire in prima persona l’evoluzione del dossier iraniano. Al momento non ci sono conferme in tal senso, ma la possibilità resta sul tavolo delle speculazioni. E sarebbe un segnale che Roma, oggi più che mai, si trova al centro del grande gioco mediorientale.


×

Iscriviti alla newsletter