Chi scrive condivide la necessità di costruire una vera capacità di difesa europea. Crede in un rafforzamento dell’autonomia strategica del continente dentro la Nato. Ritiene indispensabile investire nel riarmo come strumento di deterrenza e di credibilità politica. Ma proprio per questo, serve includere – e non escludere – tutte le sensibilità democratiche che animano il dibattito sulla sicurezza
Nel suo intervento al Congresso del Partito Popolare Europeo a Valencia, Ursula von der Leyen ha ribadito con chiarezza la necessità di rafforzare la difesa dell’Unione. Ha detto che “i cittadini dell’Unione sono in grandissima parte favorevoli al riarmo”, denunciando che “l’estrema sinistra e l’estrema destra si sono sempre opposte a questa idea”. Ha poi aggiunto: “Dalle frange, alcuni cercano di boicottare questo risveglio europeo, sostenendo che la Russia non è una minaccia e che l’Europa non è la risposta”, fino a concludere con parole nette: “L’estrema sinistra e l’estrema destra non sono a favore della pace. Sono solo a favore di Putin”.
Parole forti, che nel contesto attuale meritano una riflessione. Ursula von der Leyen è stata riconfermata alla guida della Commissione europea con un mandato politico chiaro e sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare. La sua leadership, ormai consolidata, le consente di imprimere una direzione netta alle politiche europee, in particolare sul terreno cruciale della sicurezza e della difesa. Ma proprio per questo, ancora di più oggi, è necessario che le sue parole mantengano un equilibrio istituzionale. Perché l’Europa ha bisogno di coesione, non di trincee ideologiche.
Chi scrive condivide la necessità di costruire una vera capacità di difesa europea. Crede in un rafforzamento dell’autonomia strategica del continente dentro la Nato. Ritiene indispensabile investire nel riarmo come strumento di deterrenza e di credibilità politica. Ma proprio per questo, serve includere – e non escludere – tutte le sensibilità democratiche che animano il dibattito sulla sicurezza. Una cosa è contrastare chi nega la minaccia russa; un’altra è sovrapporre automaticamente il dissenso politico a un’accusa di contiguità con Mosca.
Non sfugge a nessuno che alcune frange dell’estrema destra e dell’estrema sinistra abbiano effettivamente espresso posizioni discutibili o ambigue sul conflitto in Ucraina. Ma è diverso – e più rischioso – attribuire genericamente a chi si oppone alla corsa al riarmo una forma di complicità col nemico. Non tutti i pacifisti sono putiniani, così come non tutti i realisti geopolitici sono guerrafondai. La forza del progetto europeo sta anche nella capacità di distinguere, di evitare semplificazioni, di lasciare spazio al pluralismo.
In questo senso, il compito della Commissione – e della sua presidente – è ancora più delicato oggi, alla luce della complessa articolazione politica del Parlamento europeo uscito dal voto del 2024. Tenere insieme sensibilità diverse è una sfida, non una debolezza. E se la Commissione vuole continuare a rappresentare un punto di equilibrio, serve che chi la guida continui a essere percepito come un arbitro istituzionale, non solo come una voce di parte, per quanto autorevole.
L’Unione europea ha bisogno di visione, di solidità, di iniziativa. Ma anche di prudenza istituzionale, che non vuol dire debolezza, bensì consapevolezza del contesto. La sfida del riarmo europeo richiederà forza politica, ma anche inclusività. Perché la credibilità di una difesa comune si misura anche nella capacità di non trasformare il dissenso in colpa.
Von der Leyen ha oggi una grande responsabilità: tenere unito un continente che sta investendo sul proprio futuro strategico. E per farlo deve sforzarsi di unire, non di dividere.
Perché lei, con tutto il suo peso e la sua legittimità, non è – e non deve diventare – il primo ministro d’Europa. Non è – e non deve diventare – la dispensatrice di pagelle politiche. Non è – e non deve diventare – fonte di problemi all’interno delle coalizioni che governano negli Stati membri.