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Africa, il Piano Mattei può bilanciare anche l’espansione cinese?

La rinascita economica africana non è solo una sfida, ma anche un’opportunità per rilanciare il partenariato tra Europa e Africa su basi nuove. Il protagonismo cinese impone una risposta sistemica da parte degli attori occidentali, e in questo scenario l’Italia può assumere un ruolo guida attraverso politiche strutturali di sviluppo condiviso e cooperazione strategica

Rischio od opportunità? Difficile fornire una definizione manichea e assoluta di cosa rappresenta, per l’Occidente nel suo complesso, il “risveglio economico” del continente africano. Certamente questa dinamica sarà foriera di profondi cambiamenti nelle relazioni internazionali, nel bene e nel male. Se sarà più il primo o il secondo caso, dipende da quanto (e da come) tutti gli attori, più o meno grandi, decideranno di approcciarsi alla questione e di investirvi le proprie risorse economiche, politiche, diplomatiche e militari. Qualcuno, cioè la Repubblica Popolare Cinese, ha già deciso come muoversi al riguardo, e sta già agendo in modo concreto. Pechino ha grandi progetti per l’Africa, dove è intenzionata a sfruttare tutti gli strumenti a sua disposizione per incrementare la sua influenza, a scapito di quella degli altri attori. Usa e Ue compresi.

Quello del Marocco è un caso esemplare. Zhongnanhai ha intrecciato rapporti diplomatici molto stretti con il Paese africano che si affaccia sull’Atlantico, accanto ai quali si sono ovviamente sviluppati anche dei rapporti di carattere economico. Secondo quanto riporta Patricia Cohen sul New York Times, negli ultimi due anni gli investimenti cinesi in Marocco nei settori dell’energia, dei veicoli elettrici e delle batterie sono esplosi, con delle stime che si aggirano sui 10 miliardi di dollari, mentre decine di aziende cinesi impegnate nella produzione di automobili si stanno insediando nel Paese. Il quale, grazie al suo accordo di libero scambio con l’Unione europea, potrebbe svolgere un ruolo di “cavallo di Troia” per facilitare ulteriormente la penetrazione economica cinese nel Mercato Unico, aggirando i dazi imposti in passato.

Accanto alla dimensione civile, anche quella militare rappresenta un vettore di penetrazione dell’influenza cinese in Africa. All’inizio di questo mese si è conclusa “Eagle of Civilizations 2025”, la prima esercitazione aerea congiunta tra Cina ed Egitto, durante la quale un ufficiale delle forze armate del Cairo è stato filmato all’interno di un caccia cinese J-10S, un fatto che gli stessi analisti cinesi interpretano come un “segnale di reciproca fiducia ed amicizia”. E che rafforza le voci (già smentite in passato) sull’intenzione egiziana di acquistare un lotto dei velivoli da caccia prodotti dalla Chengdu Aircraft Industry Group, soprattutto dopo le buone performance dei suddetti veicoli negli scontri con le forze aeree indiane avvenute negli scorsi giorni.

Commentando la vicenda per il South China Morning Post, il senior fellow del Middle East Institute di Washington Mohammed Soliman ha affermato che i voli di familiarizzazione spesso precedono relazioni militari-industriali più profonde: “Nonostante le smentite ufficiali, l’addestramento suggerisce che l’Egitto sta valutando seriamente la piattaforma J-10 come parte di un potenziale cambiamento nella strategia di approvvigionamento”. Soliman ha anche aggiunto che l’effettivo acquisto della piattaforma cinese “diversificherebbe la flotta egiziana, ridurrebbe l’eccessiva dipendenza dai fornitori occidentali e potenzialmente rimodellerebbe i calcoli della superiorità aerea regionale […]. Non si tratta solo di jet da combattimento, ma di allineamento politico”.

Pechino non è però l’unico attore a mostrare grande interesse per l’Africa. Pochi giorni dopo la conclusione di “Eagles of Civlizations 2025” è stata lanciata “African Lion”, l’esercitazione congiunta multi-dominio su suolo africano organizzata da Africom (United State African Command) a cui prendono parte venti Paesi partner di Washington, un segnale non solo del radicamento della presenza americana nell’area, ma anche dell’interesse degli attori locali a cercare la cooperazione con gli Usa. Come co-organizzatore dell’esercitazione c’è lo stesso Marocco, che politicamente è molto vicino agli Stati Uniti e al loro Presidente Donald Trump (il quale, nel 2020, ha riconosciuto la sovranità dello Stato marocchino sul Sahara Occidentale, in cambio della normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Tel Aviv e Rabat). Visti i focus che Trump ha voluto imprimere alla sua amministrazione, è difficile pensare che l’attuale Presidente americano sia disposto a tollerare la strategia “cerchiobottista” del Marocco, che con tutta probabilità sceglierà di favorire il suo solido legame transatlantico rispetto al più recente avvicinamento a Pechino.

Ma non sono solo gli Stati Uniti a trovarsi nelle condizioni di arrestare l’espansionismo cinese in Africa. L’Unione europea ha da giocare un ruolo naturale in questo teatro, e non solo in virtù della sua prossimità geografica. In questo senso, è necessario che Roma riesca ad assumere un ruolo pivotale, cercando parallelamente di coltivare rapporti bilaterali con i singoli Paesi e di espandere la portata di iniziative come il Piano Mattei, framework fondamentali per la costruzione di relazioni trans-mediterranee che vadano oltre i semplici rapporti diplomatici, ma che siano anzi capaci di  creare un substrato economico comune tra le due sponde del Mare Nostrum, prima fondamentale pietra per lo sviluppo di progetti condivisi nel futuro di medio e lungo termine.


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