Skip to main content

Nell’agenda dell’Asean c’è spazio anche per Ue e Italia. Ecco come secondo Gabusi e Wong

La regione del Sud-est asiatico è ormai consapevole della sua importanza e si proietta verso un futuro di crescita. Wong della University of Canterbury in Nuova Zelanda e Gabusi dell’Università di Torino spiegano ruolo di Ue e Italia in queste dinamiche

Il lancio della visione “Asean 2045: il nostro futuro condiviso” al vertice di Kuala Lumpur dell’organizzazione dei Paesi del Sud-est asiatico rappresenta un cambiamento significativo nell’approccio della regione alla strategia di lungo periodo. Sostenibilità, transizione digitale, economie verde e blu, e rafforzamento istituzionale sono ora al centro dell’agenda di sviluppo dell’Asean. Questa nuova roadmap è un invito chiaro ai partner esterni: impegnarsi con l’Asean su basi concrete e reciprocamente vantaggiose. Ma le nazioni regionali esprimo attraverso l’organizzazione anche una consapevolezza di essere parte attiva delle dinamiche mondiali, un ruolo che verrà implementato nel futuro e che porterà i grandi, storici player globali a rimodellare i rapporti con il Sud-est asiatico.

Per l’Unione Europea, per esempio, ciò significa individuare le aree in cui il suo ruolo normativo e la sua competenza tecnica si allineano con le priorità espresse dall’Asean. Andrea Chloe Wong, della University of Canterbury in Nuova Zelanda, propone un cambio di tono: “In primo luogo, in quanto potenza normativa, l’Ue può concentrarsi su un dialogo pragmatico in ambiti funzionali di cooperazione, dando meno enfasi ai principi astratti di democrazia e diritti umani, verso i quali alcuni Paesi dell’Asean nutrono una certa diffidenza”. Secondo Wong, tra i protagonisti che hanno analizzato il tema nell’ultima edizione di “Indo-Pacific Salad”, la cooperazione marittima rappresenta un punto d’ingresso concreto: “Un esempio è il programma Southeast Asia Cooperation and Training, un’iniziativa di rafforzamento delle capacità per la sicurezza marittima. L’Ue può fornire supporto marittimo per l’attuazione della libertà di navigazione, mentre l’Asean ha esperienze operative sul campo che possono essere utili per l’Europa come riferimento”.

In questo contesto, l’Italia potrebbe svolgere un ruolo più incisivo rispetto al passato. Giuseppe Gabusi (Università di Torino) ricorda che l’Italia e l’Asean sono partner di sviluppo dal 2020, “ed è quindi un buon momento per rafforzare le relazioni con i Paesi del Sudest asiatico”. “Certamente — continua — le risorse sono poche e per questo occorre scegliere da un lato quale ruolo svolgere, all’interno delle diverse linee direttrici di politica estera del nostro Paese e, dall’altro, su quali partner investire”. Per Gabusi le medie potenze, quali l’Italia e gli Stati del Sudest asiatico, hanno un compito fondamentale: difendere i principi del diritto internazionale e della cooperazione. “In questo senso l’Italia, attraverso l’esperienza nell’Unione Europea, la forza commerciale e il fascino della potenza culturale, e grazie all’assenza di un passato coloniale nella regione, può e deve offrire sostegno agli sforzi dell’Asean di mantenere la sua centralità”.

Mentre l’Asean guarda al 2045 e l’Ue affina la sua strategia per l’Indo-Pacifico, esistono margini evidenti per un rinnovato impegno equilibrato. La sfida per l’Italia è passare da un sostegno retorico a una presenza strutturata, traducendo l’interesse in iniziativa concreta in una regione dove la competizione per l’influenza è in costante crescita. Il tema sarà al centro di un dibattito alla John Cabot University il prossimo martedì, il 3 giugno.


×

Iscriviti alla newsletter