Bruxelles sta inserendo i porti tra le infrastrutture critiche da tutelare con controlli più severi, dopo aver constatato l’espansione cinese in terminal strategici e aver vissuto il braccio di ferro su Gdynia, simbolo di una vulnerabilità ibrida tra economia e difesa. Un dossier che chiama in causa anche l’Italia
Con la crescente presenza di gruppi legati alla Cina in oltre 30 terminal portuali dell’Unione, Bruxelles alza il sipario sulla sicurezza delle sue vie marittime. Apostolos Tzitzikostas, commissario per i Trasporti, ha esortato gli operatori a “rivedere le misure di sicurezza e valutare con maggiore attenzione ogni partecipazione straniera”, riconoscendo che investimenti un tempo considerati benigni possono diventare “responsabilità strategiche” per la logistica e la difesa europea.
Il nervo scoperto, racconta Politico, sono soprattutto le partecipazioni del colosso Cosco, società dello Stato cinese, in scali come Antwerp-Bruges e Rotterdam, ma anche di China Merchants e Hutchison, che controlla terminal chiave da Pireo a Gdynia. Nel loro complesso, questi investitori statali o para-statali mantengono un “avamposto economico” su cui, in caso di crisi geopolitiche, potrebbero far leva per applicare pressioni politiche e commerciali. Dietro il linguaggio ufficiale della “difesa dell’infrastruttura critica”, si legge quindi un chiaro avvertimento a Pechino: l’Unione europea non tollererà operazioni che compromettano la sua sicurezza nazionale.
Il rischio strategico si è materializzato a Gdynia, dove il porto cargo confinante con una base navale e la sede delle forze speciali polacche è stato dichiarato infrastruttura “critica” dal governo di Varsavia. Sotto la pressione dell’amministrazione statunitense di Donald Trump, che aveva chiesto la cessione delle quote cinesi nel Canale di Panama, Hutchison ha negoziato la vendita di 14 terminal europei a un consorzio guidato da BlackRock e MSC. L’accordo, però, è stato congelato da Pechino, dimostrando come la partita si giochi anche fuori dai confini Ue. La vicenda di Gdynia esemplifica la mappa delle vulnerabilità: il gestore di un terminal portuale potrebbe avere accesso privilegiato a informazioni logistiche fondamentali per la Difesa e la Nato.
La vicenda riguarda anche l’Italia. Infatti, come ricordato su queste pagine poche settimane fa, il nostro Paese ospita diversi porti strategici su cui operatori cinesi detengono partecipazioni rilevanti, in particolare tramite colossi come Cosco e China Merchants Port. Tra gli esempi più significativi: Gioia Tauro, dove la cinese Cosco detiene una quota importante nel terminal container; La Spezia, anch’esso coinvolto in attività logistiche con operatori cinesi; Vado Ligure, sede del Vado Gateway, primo terminal in Italia a essere gestito in maggioranza da un gruppo cinese; Genova, che pur non avendo una partecipazione cinese diretta nei terminal, è parte integrante del flusso delle merci legate alla Belt and Road Initiative.