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La distanza tra Usa e Ue è inferiore a quella con la Cina. Parla Murphy (Cepa)

La collaborazione tra Unione europea e Stati Uniti nel settore tecnologico è più importante che mai, soprattutto alla luce della crescente assertività della Cina. Se le differenze normative tra Bruxelles e Washington restano marcate, l’urgenza di rispondere alla minaccia sistemica cinese (evidenziata da casi come TikTok e DeepSeek) spinge verso una visione condivisa sulla gestione dei dati, la sicurezza e l’innovazione strategica. “Ma ciò non significa che i suoi membri debbano essere sempre allineati”. Intervista a Ronan Murphy, direttore del programma Tech Policy presso il Center for European Analysis

Negli ultimi mesi, l’Unione europea ha iniziato a ridefinire il proprio approccio alla tecnologia, abbandonando l’ossessione regolatoria in favore di una strategia più competitiva. A ispirare questa svolta è anche il rapporto redatto da Mario Draghi, che sottolinea l’urgenza di investire in innovazione e semplificare le regole. Ma mentre Bruxelles cambia rotta, restano aperti i nodi dei rapporti con gli Stati Uniti e della risposta alla crescente influenza tecnologica della Cina. Ronan Murphy, direttore del programma Tech Policy presso il Center for European Analysis, ha accettato l’invito di Formiche.net a discutere della situazione.

Dopo l’insediamento della nuova Commissione, sembra che l’Europa abbia adottato una postura più assertiva in ambito tecnologico, ispirandosi all’approccio già adottato dagli Stati Uniti. Ma si può leggere questo cambio di approccio come un tentativo di Bruxelles di contrapporsi agli Usa, soprattutto dopo l’arrivo di Trump alla Casa Bianca?

Sono d’accordo sul fatto che l’Europa abbia cambiato approccio. D’altronde, a questo riguardo penso che il rapporto scritto da Mario Draghi sia ormai considerato una lettura obbligatoria a Bruxelles. Sembra che la competitività abbia sostituito l’agenda “verde” come punto più importante per i lavori della nuova Commissione. E questa nuova postura è stata assunta già prima delle elezioni presidenziali. Quindi questo desiderio di semplificare e ridurre la regolamentazione in tutti i settori, e non solo in quello tecnologico, proviene spontaneamente dall’Europa, e non è stato influenzato dagli sviluppi politici seguiti all’insediamento di Donald Trump. La volontà di investire nella tecnologia è alla base del rapporto Draghi. Senza questa volontà probabilmente non ci sarebbe stato neanche il rapporto.

Quindi crede che ci sia margine per la cooperazione transatlantica nella politica tecnologica?

Dipende da quale parte della politica tecnologica si prende in considerazione. Ad esempio quando si parla di IA e di regolamentazione dell’IA, che è una dinamica ancora agli inizi, so che l’Europa ha promosso una legge al riguardo, ma che questa legge non è stata attuata in modo significativo. C’è una certa convergenza in questo senso tra i due lati dell’Atlantico, anche se c’è una divisione all’interno dell’Europa su quanto dovrebbe andare avanti. E questo si riflette in parte anche nella politica degli Stati Uniti, dove alcune persone sono preoccupate per eventuali paletti con annesse tutte le loro conseguenze quando si tratta di IA. L’innovazione viene prima di tutto. L’opportunità. Una parola che credo abbia usato il vicepresidente Vance quando ha parlato a Parigi, che è stata poi ripresa in tutta l’Ue.

E nel settore del digitale invece?

La situazione è leggermente diversa. Non credo si possa parlare di una vera e propria coalizione transatlantica su questi temi, soprattutto per quanto riguarda il Digital Markets Act (Dma) e il Digital Services Act (Dsa). Negli ultimi tempi, sono state imposte multe significative ad alcune aziende tecnologiche statunitensi, e la posizione di Washington, in particolare rispetto al Dma, resta piuttosto critica. Gli Stati Uniti lo considerano una normativa che prende di mira in modo ingiusto le big tech americane, e non mi sembra che questa percezione stia cambiando. Allo stesso tempo, la Commissione europea non ha modificato il proprio approccio: intende semplicemente applicare le regole che ha adottato. Per quanto riguarda il Dsa, ci sono discussioni più sfumate che riflettono le differenze tra la tradizione normativa europea e quella statunitense. Al momento, negli Stati Uniti non esiste una legislazione paragonabile al Dsa, il che lo distingue ulteriormente dal Dma. Ma la situazione potrebbe presto cambiare.

A cosa fa riferimento?

Ricordiamoci che entro la fine dell’anno è previsto un nuovo disegno di legge a livello europeo, volto alla semplificazione e razionalizzazione del quadro normativo digitale. Questo pacchetto potrebbe avere un impatto sul Dma, ma è ancora presto per valutare in che misura. Il decennio digitale è a metà strada, c’è ancora molto da concludere nei prossimi anni.

Come interpreta sul piano politico le multe europee nei confronti delle industrie americane notificate nelle scorse settimane?  

Non voglio entrare nel merito dei singoli casi, perché sono complicati e non ne so abbastanza di ogni singolo caso per poterlo commentare. A grandi linee ripeto che la posizione europea non è politica, mentre quella statunitense lo è, perché ad essere colpite sono state aziende statunitensi. Personalmente credo che le multe previste dal Gdpr siano una legge applicata universalmente a tutte le aziende, non solo a quelle statunitensi, e che non ci sia intenzionalità di colpire le aziende di oltre-Atlantico. Il che spinge a pensare che dovrebbe esserci meno rancore di carattere politico. Ma una parte dice che queste sono multe politiche e l’altra non è d’accordo. E non credo che nessuno dei due si muoverà da questa posizione. Ma se questo faccia o meno la differenza è un’altra questione.

Tutto ciò avviene mentre dall’altra parte di un altro oceano, quello Pacifico, la Cina sta sviluppando sempre di più le capacità in questo settore, con il “fenomeno” DeepSeek che è solo la punta dell’iceberg. Quanto crede che Usa ed Europa debbano essere allineate nella “corsa tecnologica” contro Pechino?

La cooperazione transatlantica in questo frangente è molto importante, per non dire fondamentale. Ciò non significa che i suoi membri debbano essere sempre allineati: ci deve essere spazio per la competizione e per le differenze, sia all’interno di ogni giurisdizione che attraverso l’Atlantico. Ma senza dubbio, le aziende, le istituzioni, i governi, le autorità di regolamentazione dell’Ue e degli Stati Uniti hanno maggiori possibilità di competere con la Cina se sul piano della grand-strategy cooperano. Invece di pensare a DeepSeek pensiamo a TikTok, e a come abbia confessato che i dati raccolti venivano inviati in Cina. Le cui leggi permettono allo Stato di utilizzare i suddetti dati. Questo ci ricorda che c’è una differenza tra la Cina e l’Occidente su principi e modalità di controllo dei dati, protezione della privacy, ma anche altro. E questo impatta anche sulla cooperazione: ricordiamoci che esiste un quadro di riferimento per la privacy dei dati tra l’Ue e gli Stati Uniti, ma non esiste un accordo simile tra l’Ue e la Cina, e questo è stato evidenziato dal caso TikTok. Quindi, sì, senza dubbio la cooperazione renderà la vita più facile nella competizione con la Cina. Ma, come ho detto, serve che ci sia tensione. Che ci sia competitività.


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