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Cosa può insegnare all’Europa l’accordo Cina-Usa sui dazi. Parla Sapelli

Trump sa benissimo che rompere ogni legame economico con un mastodonte – anche demografico – come il Dragone sarebbe un errore gravissimo. L’accordo sui dazi segna l’inizio della normalizzazione della nuova amministrazione statunitense. Ora bisogna lavorare a rafforzare il legame con l’Europa, grazie al contributo italiano. L’approccio di Meloni verso gli Usa? Convinta atlantista, nel nome di De Gasperi. Colloquio con l’economista Giulio Sapelli

“L’accordo Cina e Usa sui dazi è esattamente quello che ci si aspettava. Trump sa benissimo che rompere ogni legame economico con un mastodonte – anche demografico – come il Dragone sarebbe un errore gravissimo. Da qui, mi aspetto riflessi positivi anche nel rapporto con l’Unione europea”. Giulio Sapelli, economista, docente alla Statale di Milano, presidente della fondazione Germozzi, nell’analisi che consegna alle colonne di Formiche.net, non ha dubbi: “Anche la nuova presidenza americana sta andando verso una normalizzazione”.

Il presidente Trump ha cambiato approccio verso la Cina. Come?

L’errore che si compie è quello di pensare ai dazi come uno strumento esclusivamente economico. In realtà, ciò che ha fatto Trump è usare il commercio come affermazione della potenza americana sul mondo. Ma portati all’estremo, i dazi sono controproducenti: il commercio mondiale non è fatto di dazi, ma di rapporti sani fra le imprese. La Cina, per gli Usa, resta l’avversario principale. Ma rompere tutti i legami sarebbe stato un errore strategico: è la fabbrica del mondo, nonostante diverse imprese stiano delocalizzando massicciamente verso il Vietnam.

In termini di politica estera questa mossa sposta il baricentro degli interessi statunitensi?

Questo risultato conferma che la politica estera è ancora determinata non dalle operazioni economiche ma da quelle di potenza. E gli Stati Uniti lo sanno bene, perché non possono più essere solo un impero dell’occupazione puntiforme di alcune basi militari nel mondo, ma ambisce ad ampliarsi geograficamente. Si è aperta la battaglia nell’Artico, non più nell’Indo-Pacifico. Il vero avversario, nell’Artico, è la Russia che ha la Siberia.

Che tipo di proiezione avrà questo accordo sulla sfera europea?

Ancora una volta auspico una normalizzazione dei rapporti anche se sarà più complesso visto l’evolversi dell’Unione europea che sempre di più assomiglia a una strana formazione burocratica che si pone affianco agli Stati. Certo è che non esiste Europa senza Stati Uniti o, meglio, senza l’anglosfera. In questo contesto, non fa certo bene la crisi francese in cui i partiti si sono sostanzialmente disciolti e la Francia si presenta con grandi divisioni che si registrano sia internamente che nella proiezione esterna.

Se è vero che la Francia ha diversi problemi sul piano politico, l’Italia ha invece un governo solido che si pone al centro della scena europea. Quale secondo lei dovrà essere l’impegno dell’esecutivo in questo quadro di instabilità?

Meloni deve rafforzare il suo orizzonte atlantico. Ma smettiamola di etichettarla come trumpiana, perché la premier ha avuto un ottimo rapporto anche col predecessore Biden. Semmai, possiamo dire che è convintamente filo-atlantista. E l’auspicio è che questo sentimento possa essere “contagioso” anche in Europa e tornare a rinsaldare l’asse con gli Usa. Meloni si deve muovere verso gli stati Uniti nel solco di De Gasperi (e di Moro).

Tornando in Europa, fra qualche giorno è previsto l’incontro tra la premier italiana e il neo cancelliere tedesco Merz. Cosa c’è da aspettarsi?

Spero che l’incontro con Meloni, a proposito di atlantismo, possa aiutare a far capire a Merz che l’unica speranza per la Germania di lavorare con la Cina è quella di rafforzare il legame con gli Stati Uniti. Può sembrare un paradosso, ma non lo è affatto.


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