Il progetto promosso da Meloni, costruito step-by-step, punta a tenere insieme le dimensioni geopolitiche, etico-morali e umanitarie del conflitto. Vaticano, Usa e Ue sostengono la piattaforma diplomatica, Erdogan come mediatore strategico, Kyiv aperta al dialogo. Ma la Russia? Putin vuole la pace o la guerra?
Giorgia Meloni lavora a una manovra diplomatica ambiziosa, con l’obiettivo di riaprire i canali del negoziato tra Russia e Ucraina. Al centro del progetto della presidente del Consiglio italiano ci sono la Santa Sede, pronta a ospitare i colloqui, papa Leone XIV in qualità di garante morale, Washington e Bruxelles come partner transatlantici e Recep Tayyip Erdogan come mediatore strategico. La cornice multidimensionale serve per provare a riattivare dinamiche ormai paralizzate attorno a un sostanziale stallo sul campo di battaglia.
L’iniziativa italiana ha attenzione e sostegno degli Stati Uniti. È stato lo stesso Donald Trump — dopo la recente telefonata con Vladimir Putin — a evocare la possibilità di spostare i negoziati in Vaticano, seguendo lo slancio diplomatico del suo segretario di Stato, che aveva parlato di tale possibilità proprio da Roma, quando domenica scorsa era tra le delegazioni presenti alla messa inaugurale del nuovo pontificato. Anche l’Unione europea guarda con interesse al ruolo di raccordo giocato da Meloni: ne è prova il vertice riservato che proprio domenica scorsa ha visto riuniti a Palazzo Chigi il vicepresidente americano, JD Vance, e la presidente della Commissione, Ue Ursula von der Leyen. Roma si posiziona così come snodo di connessione tra le potenze transatlantiche e l’autorità morale (e diplomatica) della Chiesa cattolica.
Nel contesto di un equilibrio geopolitico fragile, l’operazione guidata da Meloni rappresenta infatti una convergenza inusuale tra autorità religiosa, diplomazia multilaterale e realismo strategico. I canali tradizionali sono ormai logori, la cosiddetta “coalizione dei volonterosi” europei (da cui l’Italia è fuori) fatica a guidare l’iniziativa. Questa traiettoria parallela — che passa per Roma, Istanbul, D.C. e Città del Vaticano — potrebbe offrire un varco cruciale verso la pace. Il nodo, ancora irrisolto, resta la disponibilità di Mosca a impegnarsi seriamente — serietà, o interesse, che Vladimir Putin non ha per ora dimostrato,
Secondo fonti vicine a Palazzo Chigi, Meloni avrebbe affrontato direttamente il tema in una conversazione telefonica con Leone XIV, lunedì, ricevendo l’apertura della Santa Sede a facilitare un processo in due fasi: prima un’intesa umanitaria, poi un confronto politico. L’offerta vaticana è stata definita “generosa e senza precondizioni” dal governo italiano. Nel frattempo, Meloni ha consolidato il coordinamento con Washington e Bruxelles su questo solco, assicurandosi un sostegno preliminare sul piano internazionale.
Piano in cui la Turchia si candida a essere un attore chiave del fragile equilibrio in costruzione. Erdogan, forte del secondo esercito della Nato e in grado di mantenere rapporti operativi con sia Kyiv che Mosca, è considerato essenziale per l’eventuale riattivazione della “pista Istanbul”. Già protagonista dell’accordo sul grano del Mar Nero, il presidente turco conserva un peso negoziale che le cancellerie europee non possono ignorare.
Le reazioni internazionali, però, restano contrastate. Un alto diplomatico italiano ha spiegato ad Avvenire che il Vaticano agirebbe da “facilitatore” e non da negoziatore diretto. Dal Cremlino, il portavoce Dmitry Peskov ha ribadito che “nessuna decisione è stata presa” e che Mosca “non ha ricevuto alcuna proposta specifica di mediazione”. Kyiv, pur con cautela, considera il processo con interesse, soprattutto se potrà portare al rilascio di prigionieri e alla protezione dei civili.
Oltretevere l’iniziativa coincide con una possibile ristrutturazione della diplomazia vaticana. Papa Leone XIV ha riportato la regia alla Segreteria di Stato, guidata dal cardinale Pietro Parolin, affiancato dal cardinale Matteo Zuppi, già attivo in missioni umanitarie legate al conflitto. È un cambio di passo rispetto alla fase più fluida del pontificato di Francesco, che aveva lasciato spazio a gesti più estemporanei e simbolici. Il ritorno a una linea più strutturata ricorda, per alcuni osservatori, un nuovo tentativo di “Rerum Novarum”, aggiornato al complesso contesto multipolare odierno.
Sul versante turco, i colloqui rappresentano anche un’occasione per Ankara di rafforzare la propria standing internazionale, mantenendo al contempo una posizione di relativa neutralità. La Turchia è uno dei pochi Paesi a non aver imposto sanzioni alla Russia, pur continuando a fornire sostegno militare a Kyiv. Questa ambiguità, letta come pragmatismo, aumenta il margine di manovra di Erdogan e la sua centralità per il futuro del negoziato. Ragione per cui Roma invita al suo coinvolgimento attivo.
Il progetto promosso da Meloni, costruito step-by-step, punta a tenere insieme le dimensioni geopolitiche, etico-morali e umanitarie del conflitto. Si lavora per un appuntamento multilaterale a Roma da organizzare già a giugno, ma la sua riuscita dipende interamente dalla disponibilità di Vladimir Putin. La possibilità di un nuovo round dopo quello di Istanbul è legata a variabili militari e politiche ancora molto fluide. Senza un segnale forte da Mosca, resta una mossa diplomatica visionaria, ma complicata nella concretezza.