L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio non è incostituzionale. Il pronunciamento della Corte di Cassazione rigetta le questioni sollevate dalle quattordici autorità giurisdizionali, rimettendo al centro le prerogative legittime della politica. In questo modo, secondo il costituzionalista Alessandro Sterpa, viene dato vigore all’impianto di riforma della Giustizia (e al premierato)
Dalla Corte Costituzionale arriva un assist al governo guidato da Giorgia Meloni, che dà nuova linfa all’agenda di riforme. E, in particolare, a quella della Giustizia.
Il comunicato della suprema Corte – al solito piuttosto sintetico – in poche parole non solo stabilisce che l’abrogazione dell’abuso d’ufficio non sia incostituzionale ma, in filigrana, difende uno dei principi su cui poggia la democrazia liberale: stabilire se una fattispecie costituisce reato, è una decisione eminentemente politica.
Un indirizzo in qualche modo inedito per un Paese che ha una storia come la nostra, caratterizzata dall’eterno conflitto fra politica e magistratura.
Due governi, uno di destra e uno di sinistra, sono caduti per gli avvisi di garanzia.
Ma guardiamo il testo nel dettaglio.
“La Corte ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la cosiddetta Convenzione di Merida) – si legge nel documento pubblicato – Nel merito, la Corte ha dichiarato infondate tali questioni, ritenendo che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale”.
Fra l’altro, induce a riflettere, anche il numero di questioni di legittimità costituzionale di cui la Corte ha dovuto occuparsi: ben quattordici.
Formiche.net, su questo, ha avuto un confronto con il costituzionalista dell’Università della Tuscia, Alessandro Sterpa, che ha stigmatizzato questo atteggiamento da parte della magistratura.
“L’autorità giudiziaria – ha scandito nella sua interlocuzione – ha tentato di esercitare un pressing sulla Corte perché sarebbe bastata una sola questione posta per sollevare il tema della compatibilità costituzionale dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio”.
Questo dimostra, ancora una volta, come “il potere diffuso dei magistrati sia stato di fatto adoperato per tentare di dare un indirizzo politico. In realtà, il pronunciamento della Corte, si muove in direzione opposta agli intendimenti dei magistrati e dà forza all’impianto di riforma sulla Giustizia che il governo sta portando avanti. Le carriere vanno separate”.
Fermo rimanendo che, come aveva spiegato nei mesi scorsi su queste colonne il professor Bartolomeo Romano (ordinario di diritto penale all’università di Palermo), il valore dell’abrogazione del reato va letto anche come una mano tesa verso gli amministratori locali.
“Il governo ha deciso di abrogare un reato che troppo spesso – come i numeri indicano – ha portato all’apertura di indagini che non hanno dato alcun esito se non quello di distruggere famiglie, reputazioni, carriere politiche e danneggiare economicamente molti degli amministratori coinvolti”.
A tutto questo va aggiunta un’ulteriore considerazione. Se la riforma della Giustizia beneficerà senz’altro di questo pronunciamento, di riflesso, porterà vigore anche al premierato il cui obiettivo è quello di rafforzare la centralità del premier. Quindi della politica.