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Dalle auto alla geopolitica. Così l’industria tedesca mira alla difesa e allo spazio

La Germania sta ridefinendo la propria traiettoria industriale puntando sulla difesa e sullo spazio. In questo contesto, a indicare la via per le industrie germaniche, è Rheinmetall, che punta sulla riconversione dei vecchi impianti dell’auto in nuovi hub per la produzione di armamenti e assetti spaziali. Il passaggio riflette il netto cambio di postura di Berlino ma solleva anche diversi interrogativi sul futuro della competitività, sia tra l’Europa e il resto del mondo sia all’interno della stessa Unione europea

C’è una Germania che guarda nuovamente alla geopolitica, ma lo fa con i piedi ben piantati a terra e gli occhi puntati sullo spazio. Una Germania che, mentre cerca di lasciarsi alle spalle la monocultura dell’auto, riposiziona la propria industria al centro delle grandi filiere strategiche continentali. È qui che si inserisce la traiettoria di Rheinmetall, colosso della difesa che negli ultimi mesi si sta facendo principale alfiere europeo della riconversione industriale. Dagli impianti automobilistici riconvertiti alla produzione di blindati alla creazione di nuove linee produttive per i satelliti, Berlino sembra determinata a fare sul serio. Un passaggio silenzioso ma profondo, che dice molto su come la Germania stia cercando di rimettere in moto la sua macchina produttiva.

Il cambio di passo si legge nelle scelte concrete. Dopo aver riconvertito parte degli stabilimenti di Berlino e Neuss – un tempo dedicati al settore automotive – Rheinmetall guarda ora con interesse allo storico impianto Volkswagen di Osnabrück, considerato “molto adatto” alla produzione di veicoli militari. L’azienda non si limita però unicamente alla produzione di armamenti e punta anche a un altro settore strategico per la competitività europea, lo Spazio. In questi giorni Rheinmetall ha infatti annunciato la nascita di una joint venture con la finlandese Iceye per costruire satelliti Sar (Synthetic aperture radar), capaci di osservare la superficie terrestre con precisione millimetrica, giorno e notte, con ogni condizione atmosferica. La produzione sarà localizzata nello stesso sito di Neuss, a conferma di una strategia ormai evidente, che punta a trasformare i vecchi poli dell’auto nei nuovi centri per l’industria strategica europea.

Tuttavia, sarebbe un errore leggere in queste mosse una semplice traiettoria industriale. Dietro c’è un ripensamento complessivo della postura strategica tedesca. Per anni Berlino ha giocato un ruolo cauto nel dibattito sulla sicurezza europea. Poi sono arrivate la guerra in Ucraina, il disimpegno Usa, le tensioni in Medio Oriente e con esse la consapevolezza che, senza una base industriale solida, non c’è deterrenza che tenga. Rheinmetall, in questo scenario, si è mossa prima degli altri. Non solo fornendo armamenti a Kyiv, ma anche lavorando in tempi molto rapidi per mettere in piedi una macchina produttiva capace di soddisfare una domanda che cresce a ritmi mai visti dai tempi della Guerra fredda. I dati parlano chiaro: solo nel 2023 l’azienda ha visto aumentare gli ordini del 40%, e le previsioni per il biennio successivo sono in ulteriore crescita.

La componente spaziale non è marginale. Anzi, segna un salto qualitativo. L’accordo con Iceye nasce da una collaborazione già collaudata sul campo. Infatti, i dati Sar forniti all’Ucraina per monitorare le linee russe sono stati uno degli strumenti più apprezzati dalle forze armate di Kyiv. Ora si passa dalla fornitura all’estero alla produzione per soddisfare la rinnovata domanda interna di capacità autonome di intelligence satellitare. 

Quello che sorprende non è tanto la direzione, quanto la velocità del cambiamento. In pochi mesi, Rheinmetall è riuscita a catalizzare risorse pubbliche e know-how privato, riconvertire fabbriche, aprire dossier spaziali e riaprire partite industriali date precedentemente per perse. Un dinamismo che ha colto impreparate molte realtà europee, ancora impantanate nella difesa della manifattura tradizionale. Non è un caso che diversi osservatori parlino già di un “modello Rheinmetall”, vale a dire una forma di reindustrializzazione capace di dare una nuova funzione a infrastrutture e competenze in esubero. Se non altro, questo modello risulta l’unico percorribile in breve tempo per salvare le decine di migliaia di posti di lavoro che guardano con timore alla crisi dell’automotive.

Resta però il nodo politico. Se oggi la riconversione viene letta come una necessità, domani sarà inevitabile fare i conti con il suo significato più profondo. Che Germania sarà quella che produce più munizioni che motori? Come evolverà la sua identità industriale, storicamente legata a tecnologie civili e a rigide regole per l’export globale? E soprattutto, questo rilancio dell’industria tedesca avrà un orizzonte europeo, incentrato sulle sinergie continentali, o prettamente nazionale?

Per ora, le risposte si limitano alla speculazione. Ma una certezza c’è già: la Germania ha deciso di tornare a produrre potere, non solo tecnologia. E, se non altro per risonanza storica, questo dato non può essere ignorato.


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