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Il vero problema degli Usa non è l’Ue. Fortis spiega perché sui dazi ci sono i margini per trattare

“Continuo a credere che il vero problema degli Usa non sia l’Europa, ma il Messico, la Cina, il Canada, che rappresentano l’origine dello squilibrio commerciale americano, che Trump vuole livellare. Premesso questo, la strada per un accordo rimane quella maestra. E sì, un’intesa che ricalchi quanto visto con il Regno Unito”. Intervista a Marco Fortis, vicepresidente e direttore della Fondazione Edison

L’Italia ad oggi si pone come pontiere tra l’Europa e gli Stati Uniti per far sì che entrambi si siedano attorno a un tavolo per cominciare a negoziare. Quando Giorgetti, tre giorni fa, è volato in Canada per il G7 delle Finanze e delle Banche centrali, aveva le idee piuttosto chiare su quale fosse la soluzione: trattare e raggiungere un accordo in stile inglese. Come quello sigillato con la ceralacca tra Londra e Washington, tre settimane fa e che ha fissato al 10% il nuovo benchmark globale in materia di dazi.

Sui dazi “l’interesse comune è trovare un’intesa. Una ritirata totale delle posizioni americane mi pare improbabile ma in relazione agli annunci di partenza credo che alla fine si troverà soluzione ragionevole”. E per questo “sarà molto difficile che l’accordo finale sia molto diverso da quello fatto con gli inglesi”, ha chiarito Giorgetti video-collegandosi dal Canada con il Festival dell’Economia di Trento. Problema: proprio oggi Donald Trump ha riaperto il fuoco e ha annunciato l’intenzione di mettere dazi al 50% sui prodotti esportati dall’Ue negli Stati Uniti (Borse a tappeto, per la cronaca) perché “le trattative non portano a nulla.” E allora? Si negozia? O no? Marco Fortis, economista e direttore della Fondazione Edison, la mette giù più o meno così.

“Siamo entrati, e forse non da oggi, in una terra sconosciuta, oscura, dove ogni giorno se ne dice una. In queste condizioni è molto difficile capire cosa succede e cosa succederà”, premette Fortis. “Tuttavia continuo a credere che il vero problema degli Usa non sia l’Europa, ma il Messico, la Cina, il Canada, che rappresentano l’origine dello squilibrio commerciale americano, che Trump vuole livellare. Premesso questo, la strada per un accordo rimane quella maestra. E sì, un’intesa che ricalchi quanto visto con il Regno Unito”, spiega Fortis. “Con la Cina Trump ha prima messo i dazi e poi ha fatto marcia indietro, i margini per l’Europa per trattare con gli Stati Uniti ci sono, ogni volta che compriamo una canzone, per esempio, si pagano royalties alle case discografiche americane. Questo per dire che l’Europa ha un suo grip sugli Usa”.

“Pensiamo solo a tutti quei macchinari che gli Stati Uniti non producono e che invece l’Europa produce. O guardiamo all’alimentare, i nostri formaggi negli Usa non ci sono. Insomma, esportiamo prodotti particolari, difficilmente sostituibili, come i beni di lusso. Pensiamo alle Ferrari, l’azienda di Maranello ha addirittura annunciato un aumento dei listini. O agli yacht di lusso. È chiaro che l’obiettivo di Trump è rafforzare la sua leadership su quella parte dell’America che pensa ci sia stato un declino economico negli ultimi dieci anni e che oggi vuole il riscatto. Ma non penso che Washington possa fare come vuole, alla fine un negoziato si aprirà e verrà in qualche modo raggiunto”.

L’economista si sofferma poi su un’altra notizia di giornata, quella che vuole lo stesso Trump pronto a mettere dazi al 25% sui prodotti di Apple, se il gruppo informatico non sposterà la produzione negli Stati Uniti. “Questo cambio di paradigma è interessante. Ora Trump minaccia le imprese americane che producono in Cina, come fatto con Apple, dicendogli che devono produrre gli I-Phone negli Usa invece che altrove. Senza dubbio è una nuova strategia, volta a colpire le imprese di casa propria. Non si tratta solo di colpire al di fuori dell’America, ora lo si fa anche dal di dentro”.


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