Dal documento da cui ha preso vita l’inizio delle tariffe commerciali americane emergono tutte le contraddizioni del mercato unico più grande al mondo. E che, di fatto, hanno legittimato almeno in parte il nuovo corso statunitense
Dietro la guerra dei dazi. Stati Uniti ed Europa sono ormai in una fase di negoziato, forse più virtuale che negoziale, nella guerra commerciale. Eppure, ancora oggi, ha senso porsi una domanda. Ma non è che alla fine lo scontro dei dazi era già cominciato, senza però che nessuno lo sapesse. Formiche.net ha visionato il documento di quasi 400 pagine curato dall’amministrazione americana e sul quale poggia buona parte dell’offensiva commerciale statunitense. E quello che emerge è, nella sostanza, che lacci e lacciuoli, anche in casa propria, come peraltro afferma lo stesso Mario Draghi, in realtà, c’erano già.
“Gli Stati Uniti e gli Stati membri dell’Unione europea condividono la più grande relazione economica del mondo. I flussi commerciali e di investimenti tra gli Stati Uniti e l’Ue sono un pilastro fondamentale”, è l’incipit del documento, “della prosperità su entrambe le sponde dell’Atlantico e generano notevoli opportunità economiche. Tuttavia, i beni e i servizi prodotti dagli Stati Uniti incontrano barriere persistenti all’ingresso e al mantenimento dell’accesso ad alcuni settori del mercato dell’Ue, il che limita le opportunità dei lavoratori statunitensi e delle imprese di beneficiare del commercio transatlantico. E alcune barriere più significative persistono nonostante i ripetuti tentativi di risoluzione attraverso consultazioni bilaterali, riunioni di comitato dell’Organizzazione mondiale del commercio”.
Scendendo nel dettaglio, “sebbene le tariffe dell’Ue siano generalmente basse per i beni non agricoli, alcune di esse sono elevate, come ad esempio le tariffe che raggiungono il 26% per il pesce e i frutti di mare, il 22% per i camion, il 14% per le biciclette, il 10% per i veicoli passeggeri e il 6,5% per i fertilizzanti e la plastica”. E ancora, “molti prodotti alimentari trasformati, come i prodotti dolciari, i prodotti da forno e le preparazioni alimentari varie, sono soggetti a uno speciale sistema di codici tariffari nell’Ue. In base a questo sistema, l’Ue applica una tariffa su ogni prodotto importato in base al contenuto di proteine del latte, grassi del latte, amido e zucchero. Di conseguenza, prodotti che gli Stati Uniti e altri Paesi potrebbero considerare equivalenti ai fini della classificazione tariffaria, a volte ricevono dazi diversi nell’Ue”.
Un capitolo a parte lo meritano gli investimenti. Qui la sintesi del rapporto è questa: in Europa ci sono troppi sistemi normativi diversi, eterogenei tra loro. E questo è, a conti fatti, un freno agli investimenti. “Le leggi e i regolamenti relativi all’ingresso iniziale di investitori stranieri rimangono in gran parte di competenza dei singoli Stati membri. E le politiche e le pratiche degli Stati membri di possono avere un impatto significativo sugli investimenti statunitensi”. Per esempio, e qui c’è il caso della farmaceutica, “il 26 aprile 2023, la Commissione europea ha pubblicato una proposta di revisione della legislazione farmaceutica generale dell’Ue. La proposta comprendeva una nuova direttiva e un nuovo regolamento relativi ai medicinali per uso umano, destinati in parte alla protezione normativa dei farmaci innovativi e a creare procedure più favorevoli per l’autorizzazione all’immissione in commercio”.
“Ciò fornirebbe incentivi alle aziende per il lancio simultaneo in tutta l’Ue. Tuttavia, le condizioni legate agli incentivi di includono fattori che potrebbero non essere pienamente sotto il controllo delle aziende, come i tempi di elaborazione per l’autorizzazione all’immissione in commercio e le decisioni di rimborso in ogni Stato membro dell’Ue”. E anche questa è una barriera. E che dire del digitale? “Il Digital services act (Dsa) è entrato in vigore nel novembre 2022 ed è entrato in vigore il 17 febbraio 2024 e conferisce alla Commissione europea l’autorità di regolamentare le pratiche commerciali di alcuni grandi fornitori di servizi digitali. Essa impone inoltre obblighi rigorosi di trasparenza e di rendicontazione sul sito e requisiti di revisione contabile, e richiede di affrontare i rischi sistemici presenti nei loro servizi”.