In un’epoca in cui il digitale accelera la diffusione del falso più del vero, la disinformazione si insinua nei punti ciechi della democrazia. Interferenze straniere, algoritmi e strategie ibride ridefiniscono il concetto stesso di difesa. Tra Bruxelles, Roma e Tbilisi, si gioca una partita che riguarda non solo i confini, ma anche le coscienze. La riflessione del senatore Terzi di Sant’Agata
Informare, nel suo significato più intrinseco, presuppone un dare forma. Non a caso, l’informazione è proprio quel mezzo che dà una voce a ciò che accade. Aristotele sosteneva che dall’unione di forma e materia si ottiene la sostanza. Un’intuizione calzante, perché nei nostri sistemi democratici l’informazione è davvero un bene sostanziale. Nella libertà di ognuno di noi di crearsi un’opinione, un’interpretazione, un pensiero critico, l’informazione svolge il ruolo di una tabula da cui attingere.
L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa – nel 2021 – l’ha definito “diritto alla conoscenza”, ossia diritto ad avere tutti gli strumenti per comprendere ciò che accade fuori di noi per formare poi dentro di noi un’idea. Chiaramente, affinché tale processo sia possibile, la libertà in tutte le sue forme va tutelata. Da quella di stampa a quella d’espressione.
Ma cosa accade se qualcuno quei materiali, quei fatti e quelle informazioni li storpia, stravolge, addirittura inventa con video creati ad hoc da una presunta intelligenza artificiale? Accade che la conoscenza di partenza di ognuno di noi è in pericolo e, pertanto, che a domande lecite il rischio di trovare risposte sbagliate, o meglio disinformate, c’è.
Quando si legge che la difesa oggi è un concetto più ampio, non soltanto legato alla natura militare, bensì anche a minacce ibride come gli attacchi informatici e – per l’appunto – la disinformazione, non va dimenticato cosa gli attori malevoli – attraverso fake news, manipolazioni e interferenze – vogliono ottenere. È un vero e proprio attacco alle nostre basi democratiche e alla forma mentis dei cittadini.
Quello della disinformazione è un veleno che mina i processi più vitali, come le elezioni, e vi sono Paesi che purtroppo – anche a causa di ciò – vedono opportunità chiudersi e strade più in salita. Penso al lunghissimo processo di adesione all’Ue che interessa la Georgia e alle forti preoccupazioni espresse da tutti i 27 Stati membri dell’Unione a seguito delle elezioni presidenziali dello scorso ottobre – elezioni che hanno registrato preoccupanti interferenze di matrice russa. È forte il convincimento in Europa che gran parte dell’opinione pubblica georgiana voglia integrarsi nell’Ue e auspichi in rapide riforme e nella realizzazione degli impegni necessari, in materia di libertà e trasparenza, per passare da Paese candidato a Paese membro. Eppure, l’ingerenza russa nel sistema complica notevolmente, soprattutto internamente al Paese, tale percorso.
Il Commissario europeo per la Difesa e lo Spazio Kubilius, pochi giorni fa in audizione congiunta di Camera e Senato, ha sottolineato l’importanza di un forte impegno al contrasto alla disinformazione, menzionando i preoccupanti e accresciuti episodi di attacchi ibridi negli Stati membri, principalmente sempre di stampo russo.
È una sfida determinante per l’Europa ma anche per tutto l’Occidente e ogni Paese democratico. Dall’aggressione militare russa all’Ucraina in poi, è divenuto evidente che vi sono degli antagonisti che – senza neanche troppo nasconderlo – mirano a sovvertire il nostro mondo libero e l’ordine internazionale basato su regole condivise. Come? In tanti modi, con tanti mezzi, anche mediante strategie di disinformazione create appositamente. Non solo la Russia ma anche ad esempio – come riporta la relazione del DIS 2025 – la Cina. Di più, se vediamo quanta disinformazione e cattiva comunicazione ruota attorno a ciò che accade a Gaza – con Hamas che apertamente dichiara di usare i civili palestinesi come scudi umani e le nostre piazze e università, invece, che diffondono narrative solidali con i terroristi e lanciano messaggi d’odio contro Israele – anche il regime iraniano è un grande manipolatore.
Con le interferenze fortemente in crescita e sempre più intrusive, Parlamento europeo, Consiglio europeo e Commissione europea si sono concentrati su tali aspetti, in particolare quei meccanismi che vanno a colpire i processi elettorali e decisionali. In tal senso è attesa il prossimo autunno la comunicazione della Commissione europea circa lo “Scudo Democratico”.
L’Italia è in prima linea su questo fronte. Nella cornice della presidenza italiana del G7, Roma ha firmato con Washington un importante Memorandum of Understanding proprio sulla disinformazione. L’intesa permetterà un maggiore scambio informativo e anche un’azione strategica coordinata maggiormente in grado di garantire un contrasto del fenomeno. È chiaro che la lotta alla disinformazione sia un tema da affrontare sì nella cornice europea ma anche nella cornice atlantica.
L’Ue ha già introdotto degli strumenti normativi – penso al Digital Services Act o al Media Freedom Act – che permettono di assicurare un ambiente online sicuro, prevedibile e affidabile. Questo perché il digitale è divenuto uno spazio fortemente rischioso. I social amplificano infatti a ritmo costante il raggio d’azione di fake news e dintorni, grazie a influencer, hashtag e pop-up. Sono una vera e propria arma disinformativa.
Come emerso in Senato dalle audizioni nel quadro dell’affare assegnato alle Commissioni 3a e 4a sulle ingerenze straniere nei processi democratici degli Stati membri dell’Ue e nei Paesi candidati, la tecnologia corre più velocemente della nostra capacità di contrastarla.
L’esposizione dei nostri giovani alle piattaforme social, influenza pesantemente le loro capacità cognitive. Se pensiamo che, secondo un sondaggio del Pew Research Center, il 17% degli adulti americani si informa regolarmente su TikTok rispetto al 3% del 2020, e che nella fascia 18-29 anni, questa percentuale sale al 39%, siamo dinanzi una problematica molto insidiosa. Non c’è ragione di pensare che la situazione in Europa non sia similare.
Si tratta, dunque, di proteggere la democrazia nelle sue più profonde radici, da chi la vuole destabilizzare e dai mezzi che senza controllo sempre più stanno divenendo un’arena di s-conoscenza.