Dopo diversi annunci, il Golden Dome inizia ufficialmente il percorso verso la sua realizzazione. Lo scudo orbitale multi-strato voluto da Trump costerà oltre 500 miliardi di dollari nell’arco di vent’anni e servirà a neutralizzare minacce ipersoniche e orbitali grazie a un mix di sensori satellitari e intercettori cinetici coordinati dalla Space Force
Donald Trump ha annunciato ufficialmente l’avvio operativo del programma Golden Dome, il nuovo sistema di difesa missilistico progettato per blindare il territorio statunitense da minacce avanzate, ipersoniche e orbitali. Con un investimento iniziale da 25 miliardi di dollari, già approvato nella legge di bilancio 2025, il progetto è destinato a diventare la colonna vertebrale della postura difensiva americana nello spazio. La timeline per la realizzazione è discretamente ambiziosa e punta al raggiungimento di una prima capacità operativa entro il 2029, anno che vedrà la fine del secondo mandato di Trump.
Come funzionerà il Golden Dome
Il Golden Dome sarà una rete integrata di sensori orbitali, sistemi di intercettazione cinetica e infrastrutture terrestri di comando e controllo, coordinata dai guardians della Space Force. La costellazione satellitare sarà il primo livello di allerta e tracciamento, grazie a sensori multispettrali per l’osservazione della Terra, capaci di rilevare lanci missilistici già nella loro fase iniziale. A questo primo layer seguiranno diversi strati aggiuntivi, composti prevalentemente da piattaforme di intercettazione orbitale e postazioni terrestri, in grado di intervenire lungo tutto il profilo di volo del vettore ostile.
Il generale della Space Force Michael Guetlein, nominato responsabile del programma, ha parlato di “una nuova architettura spaziale per la sicurezza nazionale, pensata per affrontare le minacce di domani”. Il riferimento è soprattutto ai vettori ipersonici manovrabili, ai sistemi d’arma anti-satellitari (Asat) e ai missili balistici intercontinentali a traiettoria variabile. Il sistema mira principalmente a garantire una copertura completa del territorio statunitense, comprese Hawaii e territori non incorporati degli Stati Uniti, ma non è da escludere che sarà anche in grado di interoperare anche con i sistemi di difesa aerea alleati, come già avviene in ambito Nato.
A volte ritornano
Il progetto del Golden Dome riprende e aggiorna l’ambizione reaganiana della Strategic Defense Initiative (Sdi), ma in un contesto in cui i recenti avanzamenti tecnologici e la nuova corsa allo Spazio hanno reso quelle che nel 1983 venivano definite dispregiativamente “Star Wars” una prospettiva militare assai concreta. Il Golden Dome infatti non sarà solo un programma anti-missile, ma anche uno strumento di superiorità orbitale e deterrenza integrata. Benché non sia ancora chiaro se i sistemi orbitanti della cupola saranno in grado di colpire anche obiettivi sulla superficie del pianeta, la questione rimane sul tavolo. Sarebbe difficile credere che un sistema d’arma capace di intercettare vettori nell’atmosfera non sia, almeno potenzialmente, in grado di mirare anche a obiettivi sulla Terra.
Inoltre, non sono ancora chiare le implicazioni che l’attivazione di Golden Dome potrebbe comportare rispetto agli impegni internazionali del trattato sullo Spazio esterno (Ost) del 1967. Il trattato, invero ormai obsoleto, proibisce l’impiego di armi di distruzione di massa al di fuori dell’atmosfera, ma resta vago e soggetto a interpretazioni per quanto concerne lo schieramento di armamenti convenzionali.
Nel disegno attuale, il Golden Dome si ispirerà in parte al modello Iron Dome israeliano, ma con un raggio d’azione e una complessità tecnico-operativa infinitamente maggiori. Mentre l’Iron Dome è un sistema basato a terra, sia sul lato radaristico che per quanto concerne i lanciatori degli intercettori, il progetto americano punta a portare e mantenere entrambi gli assetti (sensori ed effettori) direttamente nello spazio extra-atmosferico. “È una sintesi tra prevenzione e sorveglianza, deterrenza e proiezione”, ha osservato un funzionario del Pentagono. I primi test potrebbero iniziare già nel 2026, con SpaceX, Lockheed Martin e RTX tra i principali contractor interessati. Il Canada ha manifestato l’intenzione di contribuire alla parte sensoristica, soprattutto alla luce della cooperazione con Washington nell’ambito del sistema di early warning del continente nordamericano, il Norad.
Un costo “stellare”
Secondo l’ufficio per il budget del Congresso Usa, che ha pubblicato una stima preliminare, l’intero programma costerà tra i 161 e i 542 miliardi di dollari in un orizzonte di vent’anni, anche a seconda della configurazione finale e delle eventuali modifiche che saranno implementate nel tempo rispetto al progetto originario. La Casa Bianca ha già avviato il programma con una dotazione iniziale di 25 miliardi, parte dei 150 miliardi di incremento sul bilancio Difesa del 2025 recentemente annunciato. Una parte significativa dei fondi sarà destinata allo sviluppo e al dispiegamento di satelliti, all’aggiornamento delle infrastrutture terrestri e alla costruzione degli intercettori orbitali. Le aziende americane del settore stanno già lavorando su soluzioni dedicate, e le prime gare sono attese entro fine estate.