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Green deal e guerra dei dazi. A che punto siamo?

Con il Green Deal l’Europa sta piano piano costruendo la propria indipendenza, la sicurezza energetica e la competitività, proprio attraverso la progressiva sostituzione della dipendenza dalle fonti fossili

L’ultima notizia è che i dazi al 50% annunciati dal Presidente degli Stati Uniti nei confronti dei Paesi dell’Unione Europea sono stati rinviati al 9 luglio. Lo hanno annunciato, dopo un colloquio telefonico, lo stesso Trump e la Presidente della Commissione europea von der Leyen. I mercati hanno tirato un sospiro di sollievo, ma l’incertezza regna sovrana. E tutti rimangono in attesa della prossima mossa del Tycoon. Governi e imprese sempre più in balia di decisioni che tengono in bilico l’economia globale e i mercati, nonostante i due leader abbiano concordato di “accelerare i negoziati commerciali e di rimanere in stretto contatto”. Proseguono, infatti, i colloqui tra le due sponde dell’Atlantico attraverso il Commissario europeo al commercio Maros Sefcovic e l’omologo statunitense Howard Lutnick. Anche se, la proposta dell’Ue per una reciprocità “zero per zero” non ha sortito gli effetti sperati a Bruxelles. E, comunque rimangono in vigore le tariffe commerciali del 25% su acciaio, alluminio e automobili europee e tariffe del 10% su tutte le importazioni dell’Unione.

In una situazione  di grande incertezza,  qualcuno ha provato a ipotizzare futuri scenari in una Europa che oscilla tra gli elevati costi dell’energia e la sempre più agguerrita concorrenza mondiale. A gennaio la Commissione Europea ha presentato “Una bussola per la competitività” , sulla base del Rapporto Draghi, che “traccia il percorso che farà dell’Europa il luogo in cui le tecnologie, i servizi e i prodotti puliti futuri sono inventati, fabbricati e commercializzati e nel contempo il primo continente a impatto climatico zero”. Subito dopo, a febbraio, è stato presentato il Clean industrial deal,  l’accordo industriale pulito, che “delinea azioni concrete per trasformare la decarbonizzazione in un motore di crescita per le industrie europee, attraverso la riduzione dei prezzi dell’energia, la creazione diposti di lavoro di qualità e le giuste condizioni affinché le aziende prosperino”.

A fine gennaio il Centro di ricerche della Commissione (Joint Research Center) ha pubblicato un rapporto sullo stato di attuazione del Green Deal, prendendo in esame i documenti programmatici adottati tra il 2019 e il 2024 nelle aree tematiche previste dal piano: clima, energia pulita, economia circolare, mobilità sostenibile, agricoltura e alimentazione, biodiversità, inquinamento. Miglioramenti sono stati riscontrati nella diminuzione delle emissioni dei gas serra, nei processi di produzione e riciclo, nella riduzione dei rifiuti. Per centrare gli obiettivi previsti al 2030, ricorda il rapporto, occorre accelerare nelle rinnovabili e nella tutela della biodiversità, ampliando le aree protette e ripristinare gli ecosistemi. E comunque, conclude , “siamo sulla strada giusta per progredire con il Green Deal  e che la maggior parte delle politiche e degli strumenti di supporto sono in atto e iniziano a dare risultati”.

Poi sono arrivati, o stanno per arrivare, i dazi annunciati o minacciati da Donald Trump nei confronti dell’Unione Europea. Quali le conseguenze per le aziende del Vecchio continente e per l’ambizioso piano “industria pulita”, e più in generale per quel Green Deal che, attraverso “cambiamenti strutturali e modelli di produzione e consumo più sostenibili” si prefigge di raggiungere obiettivi ambiziosi come la riduzione delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e del 90% entro il 2040, con l’obiettivo finale della neutralità climatica al 2050?

Se lo sono chiesto i ricercatori di Ecco, un think tank italiano per il clima, in un incontro dal suggestivo e più che mai attuale titolo: “L’Europa al bivio: il Green Deal nella guerra dei dazi”. L’obiettivo è quello di  una riflessione su “una possibile risposta europea alla guerra dei dazi, capace di garantire autonomia strategica e competitività industriale all’Unione”, convinti che uno degli obiettivi principali dei dazi sia lo smantellamento del Green Deal europeo, “considerato come un rischio strategico di avvicinamento commerciale tra Europa e Cina e come ostacolo alle esportazioni statunitensi verso il mercato europeo”.

In questa che viene definita come una trasformazione radicale dell’ordine mondiale, “l’Europa potrebbe cogliere l’opportunità di ridefinire le proprie alleanze strategiche intorno ai propri interessi e valori”. In questo senso, ricorda la ricerca, il Green Deal rappresenta uno strumento chiave per rafforzare l’autonomia strategica, promuovere l’innovazione industriale e accrescere la competitività. Proprio come prospettano gli ultimi documenti adottati dalla Commissione europea in questo primo scorcio del 2025. Una strategia integrata che dovrebbe mirare “ad attrarre nuovi capitali per finanziare la transizione e rilanciare il multilateralismo”.

Nella relazione introduttiva, Matteo Leonardi, direttore di Ecco, ha ricordato come nella bilancia commerciale tra Stati Uniti ed Europa, “non vi è uno sbilanciamento tale da giustificare una guerra commerciale”, anche perché è a favore dell’Europa di un poco significativo 3%. Ma è nel merito dei beni che si intende intervenire dove “oltre il 50% ha a che vedere con la transizione fossile”. Infatti, l’export dagli Stati Uniti verso l’Europa riguardano prodotti petroliferi, gas naturale e “beni che hanno a che vedere con motori e con l’industria fossile”. Tutto questo è minacciato dalla transizione ecologica adottata dall’Unione Europea.

“L’obiettivo dell’amministrazione repubblicana è la cancellazione di buona parte degli obiettivi ambientali da parte dell’Europa. Un riallineamento della bilancia commerciale che parte da una prima richiesta di allontanamento dell’Europa rispetto a fornitori di beni che sono legati alla transizione green, ovvero la Cina”.  L’indipendenza energetica e lo sviluppo delle rinnovabili, tasselli fondamentali della transizione e del Green Deal, sono i primi obiettivi che l’Europa deve raggiungere per costruire una “strategia industriale” che “vede la decarbonizzazione come il perimetro entro il quale orientare gli investimenti, sia privati che pubblici, rispetto all’innovazione tecnologica dell’industria”. Con il Green Deal l’Europa sta piano piano costruendo la propria indipendenza, la sicurezza energetica e la competitività, proprio attraverso la progressiva sostituzione della dipendenza dalle fonti fossili. Indietro non si può e non si deve tornare. Ne va del futuro e di una migliore qualità della vita della nostra e delle generazioni che verranno dopo di noi.

 


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