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Ecco perché SolarPower Europe ha espulso Huawei

SolarPower Europe, la principale lobby Ue per il fotovoltaico, ha deciso di espellere Huawei in seguito a un’inchiesta per presunte tangenti nei confronti di europarlamentari. Il gruppo cinese ha pagato almeno 60.000 euro all’anno per essere “sponsor” dell’associazione

SolarPower Europe, la principale associazione europea per le energie rinnovabili, ha annunciato l’espulsione di Huawei in seguito all’avvio di un’inchiesta per presunte tangenti nei rapporti con le istituzioni dell’Unione europea. Fondata nel 1985, l’associazione conta oggi oltre 300 aziende fra produttori di pannelli, sviluppatori di impianti e fornitori di componentistica, ed è tradizionalmente uno dei poli di influenza più importanti sui regolamenti Ue in materia di fotovoltaico. Huawei era membro sponsor di SolarPower Europe con un contributo annuo di almeno 60.000 euro e aveva assunto un ruolo di primo piano nei gruppi di lavoro sulla digitalizzazione e sulla sostenibilità delle filiere.

La decisione di rimuovere il gruppo cinese, prima volta nella storia dell’associazione, è arrivata dopo che le autorità belghe hanno ufficialmente indagato Huawei per presunta corruzione di europarlamentari. La mossa segue il divieto imposto ai rappresentanti Huawei di partecipare a incontri ufficiali sia al Parlamento sia con la Commissione europea.

Il colosso di Shenzhen detiene circa un terzo del mercato europeo degli inverter, dispositivi chiave per l’installazione dei pannelli solari sulla rete elettrica e la sua esclusione rischia di creare tensioni nella filiera energetica. SolarPower Europe ha giustificato la scelta citando la necessità di tutelare la reputazione dell’associazione e di mantenere inalterati gli standard etici nei rapporti con le istituzioni.

Nonostante il divieto formale, Huawei continua a fare pressione sulle normative energetiche attraverso una vasta rete di adesioni a oltre cinquanta associazioni, think tank e gruppi di settore in tutta Europa. Secondo fonti interne citate da Euractiv, il gruppo sfrutterebbe “organizzazioni minori” per entrare nei tavoli di lavoro e diffondere le proprie posizioni sulle direttive in discussione, come il Net‑Zero Industry Act, volto a incentivare la produzione di tecnologie pulite made in Ue.

Fra le realtà coinvolte c’è anche l’European Association for the Storage of Energy (Ease), che fino a febbraio annoverava Huawei tra i soci a pieno diritto (quota annuale di 22.400 euro), salvo poi “rimuoverla” dal sito web quando è sopraggiunta la bufera giudiziaria. Allo stesso modo, Eurelectric, l’associazione dei grandi operatori elettrici, ha annunciato che a giugno discuterà la sospensione del colosso cinese durante il prossimo consiglio di amministrazione. Da alcuni giorni Huawei non compare più tra i membri della European Cyber Security Organisation sul suo sito.

Come evidenzia sempre Euractiv, in Germania la “terra di conquista” preferita da Huawei, nessuna associazione ha ancora preso in considerazione l’espulsione, fra timori di perdere risorse e opportunità di collaborazione. A denunciare pubblicamente la presenza capillare di Huawei è stata soltanto la Fronius, piccolo produttore di inverter austriaco: “Huawei è ovunque”, ha lamentato il suo amministratore delegato, preoccupato per la crescente concorrenza cinese sul mercato.


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