La nuova società di intelligenza artificiale di proprietà del Regno è stata lanciata poco prima della visita di Donald Trump nel Golfo. Per raggiungere il suo obiettivo di diventare leader mondiale nel campo dei data center, sta portando avanti discorsi con varie aziende a stelle e strisce. Sulla tecnologia Washington e Riad sembrano parlare la stessa lingua
“Siamo in trattative. Alcuni di loro, di cui sentirete parlare molto presto, sono grandi nomi nell’industria dei data center”. Pur senza far nomi, è chiaro a quali aziende si riferisse Tariq Amin. In una intervista al Financial Times, l’amministratore delegato di Humain, la nuova società di intelligenza artificiale del governo dell’Arabia Saudita lanciata alla vigilia dell’arrivo di Donald Trump nel Paese, ammette di essere alla ricerca di un partner azionario negli Stati Uniti per permettergli di diventare il punto di riferimento mondiale per i data center. Amin non ha detto con quali società sta parlando, ma data la recente visita del presidente americano è facile immaginare che possa trattarsi di un’azienda il cui leader era al fianco del tycoon durante il tour nel Golfo.
Amin ha già chiuso accordi da 23 miliardi di dollari con Nvidia, Amd, Amazon Web Services e Qualcomm e altre aziende americane. Il suo progetto è ambizioso, ma vista la potenza di fuoco di cui è dotato – 940 miliardi di dollari –sulla carta ha tutte le possibilità di concretizzarlo: portare i data center a una capacità pari a 1,9 gigawatt entro la fine del decennio, per poi arrivare a 6,6 gigawatt nel 2034. Costo totale, 77 miliardi di dollari.
L’intenzione nel breve termine di Amin è di investire 10 miliardi di dollari in start-up negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Lo farà grazie al suo fondo di venture capital, Humain Ventures, che verrà lanciato questa estate. Una ulteriore conferma delle intenzioni del principe ereditario e primo ministro Mohammed bin Salman, che intende intraprendere la strada dell’intelligenza artificiale per diversificare l’economia del Regno, fortemente ancorata agli idrocarburi. “La domanda che dovremmo porci come Paese – aggiunge Amin – è: possiamo permetterci di perdere questa opportunità?”.
La risposta è logica e consequenziale. L’Arabia Saudita sta facendo di tutto per cercare di mostrarsi al mondo come un Paese in cui investire nell’IA, in linea con il progetto Vision 2030 del principe MbS. Agli americani assicura di non vendere know-how a stelle e strisce ai cinesi, agli europei garantisce che gli utenti possono controllare in tempo reale come vengono utilizzate le loro informazioni. Se basti è da vedere, ma è già un punto di partenza importante.
Certo è che Humain intende fare le cose per bene. Come ha spiegato il ceo al quotidiano finanziario londinese, “ci sono due strade che si possono percorrere: si va piano, e noi di certo non lo stiamo facendo, oppure si va veloci”. Meglio la seconda, perché “chiunque raggiunga per primo la linea finale, credo che si assicurerà una buona fetta di mercato”.
Dentro questo discorso ci sono ovviamente gli Stati Uniti. La fame di tecnologia riguarda tutti, ma Trump ha trasformato l’IA in una priorità assoluta del suo mandato. Serve però agire di comparto, perché anche una superpotenza come l’America da sola può fino a un certo punto. Non sorprende dunque che i primi paesi che ha visitato da quando è tornato alla Casa Bianca siano le tre monarchie del Golfo – anche nella prima esperienza, l’Arabia Saudita era stata la prima visita ufficiale fuori dai confini nazionali. “L’importanza dell’ecosistema statunitense è molto critica”, sostiene Amin, convinto che le aziende americane siano ottimi partner. “Se andate a vedere i nostri fornitori, scoprirete che siamo stati ponderati sulle partnership e sulle scelte che abbiamo fatto. Non volevamo commettere errori”.
Ora si tratta solo di scoprire quali società andranno a collaborare con Humain. L’unica sicurezza è che Stati Uniti e Arabia Saudita sono sempre più in simbiosi. Un altro elemento che lo conferma è il prezzo del petrolio, sceso per volontà di Riad su consiglio di Washington. All’America serve per questioni di inflazioni, al Regno per indicare che la nuova via da percorrere è un’altra molto più moderna.