Sia Putin che Zelensky legano la propria credibilità politica all’esito di questa guerra. Finché questo nodo non si scioglie, tutto il resto è secondario. La pace è lontana, ma l’illusione è vicina. E come spesso accade, è proprio questa illusione – comoda, bipartisan, mediatica – a rendere la guerra ancora più lunga. Il commento di Roberto Arditti
Quasi tutte le guerre finiscono nello stesso modo: con una vittoria. Totale, parziale, simbolica. Ma pur sempre una vittoria. Le trattative arrivano dopo, servono a registrare i rapporti di forza, non a modificarli. Per questo non credo alla pace vicina tra Russia e Ucraina: perché nessuno ha ancora vinto, e finché questo equilibrio instabile regge, il conflitto continuerà.
Da un lato c’è la Russia, che non è affatto isolata. Il 9 maggio, nel giorno più importante per la memoria storica del Paese, Vladimir Putin ha accolto a Mosca Xi Jinping. È un messaggio politico chiaro: Mosca è pienamente dentro l’asse delle autocrazie, con Pechino che ne certifica la legittimità globale. Inoltre, pur tra mille difficoltà logistiche e sanzioni internazionali, la Russia continua a esportare gas e petrolio. Non come prima, certo, ma abbastanza per finanziare lo sforzo bellico, alimentare la propaganda interna e mantenere viva l’economia. Il sistema tiene. E il Cremlino lo sa.
La mobilitazione resta selettiva ma costante, le forniture dalla Corea del Nord aumentano, l’artiglieria russa continua a fare la differenza sul campo. E sul fronte diplomatico la Cina mantiene un atteggiamento solo in apparenza neutrale: non invia armi letali, ma sostiene Mosca con tecnologie dual use, forniture elettroniche, e soprattutto con una narrativa politica che legittima la posizione russa. È un sostegno “cauto”, ma continuo.
Dall’altro lato, c’è un’Ucraina che non si arrende. Anzi, rilancia. Gli F-16 promessi dall’Occidente sono arrivati e vengono già utilizzati in operazioni selettive. L’impatto è rilevante sul piano tattico e simbolico: per la prima volta, Kyiv dispone di una forza aerea comparabile – almeno in parte – con quella russa. Ma il vero salto di qualità è industriale. L’Ucraina fabbrica armi. Cresce la produzione interna di droni, munizioni, missili. Si sviluppano alleanze tecnologiche con Paesi Nato e non solo. Un esempio rilevante viene dalla Turchia: l’azienda Baykar ha fornito a Kyiv i celebri droni Bayraktar TB2, già operativi al fronte, e ha annunciato un investimento di 100 milioni di dollari per costruire in Ucraina uno stabilimento produttivo. Kyiv non è più solo il fronte della guerra: è sempre più la sua officina.
E poi c’è l’Occidente, che non è nel mezzo, ma è parte in causa. Sostiene l’Ucraina con denaro, intelligence, sistemi d’arma e diplomazia. Ma non è un fronte compatto. L’Europa, seppur generosa, appare incerta, attraversata da stanchezza politica e tensioni sociali. Gli Stati Uniti sono già entrati in una fase nuova: quella di Donald Trump. E proprio lui, piaccia o no, è oggi l’unico leader occidentale a parlare con chiarezza di una trattativa vera. Non una tregua di comodo, ma un negoziato politico che metta fine alla guerra.
Trump ha annunciato pubblicamente che lunedì sentirà al telefono Vladimir Putin, con l’obiettivo – parole sue – di fermare il “bagno di sangue” che sta uccidendo migliaia di soldati ogni settimana. Dopo la telefonata con il leader del Cremlino, Trump intende parlare anche con Volodymyr Zelensky e con rappresentanti della Nato. È una mossa che segna una svolta: la Casa Bianca torna protagonista non per alimentare il conflitto, ma per cercare di chiuderlo.
Il punto vero non è che la guerra “conviene”. Il punto è che, nelle condizioni attuali, tanto la leadership russa quanto quella ucraina hanno molto da perdere se alzano bandiera bianca. Putin non accetterà mai di tornare a casa senza territori. Zelensky non intende compromettere che l’integrità territoriale dell’Ucraina venga violata senza risposta, cioè senza un chiaro progetto di sicurezza per il futuro (adesione alla Ue e, in prospettiva, alla Nato). Entrambi cioè legano la propria credibilità politica all’esito di questa guerra. Finché questo nodo non si scioglie, tutto il resto è secondario.
La pace è lontana, ma l’illusione è vicina. E come spesso accade, è proprio questa illusione – comoda, bipartisan, mediatica – a rendere la guerra ancora più lunga.