L’Operazione Sindoor segna una svolta nella dottrina militare indiana: in risposta a un grave attentato terroristico, l’India ha colpito direttamente campi jihadisti in Pakistan, superando la tradizionale soglia di contenimento. Secondo Happymon Jacob (Csdr), questo rappresenta un cambio strutturale: Nuova Delhi ora considera ogni attacco terroristico come atto di guerra convenzionale. La mossa chiude la stagione del dialogo con Islamabad e inaugura una strategia di deterrenza attiva, con implicazioni regionali e globali
Il 7 maggio 2025, l’India ha lanciato “Operazione Sindoor”, un’operazione militare ad alta intensità contro nove campi terroristici situati in Pakistan e nel Kashmir sotto occupazione pakistana (PoK). L’operazione, che ha comportato 24 attacchi missilistici di precisione, è stata una risposta diretta all’attentato terroristico di Pahalgam del 22 aprile 2025, in cui hanno perso la vita 26 persone, in gran parte turisti. Le Forze Armate indiane – grazie a un’azione congiunta di Esercito, Marina e Aeronautica – hanno colpito le roccaforti di gruppi terroristici banditi come Lashkar-e-Taiba (LeT) a Muridke, Jaish-e-Mohammed (JeM) a Bahawalpur e Hizbul Mujahideen.
“È importante notare che non sono state colpite strutture militari pakistane, a testimonianza dell’approccio calibrato e non provocatorio dell’India. Questa operazione sottolinea la determinazione dell’India a ritenere i responsabili, evitando inutili provocazioni”, fa sapere l’ambasciata italiana. Tuttavia, l’operazione ha implicazioni profonde per i rapporti tra India e Pakistan e per la postura strategica indiana nella lotta al terrorismo. Intanto l’ufficio del primo ministro pachistano fa sapere che le forze armate di Islamabad hanno già ricevuto l’ordine di rispondere all’azione indiana.
Sul tavolo ci sono questioni di sicurezza nazionale profonda, in cui si sfogano nelle dinamiche del presente diatribe del passato. Secondo Happymon Jacob, docente della Jawaharlal Neru University e fondatore del Council for Strategic and Defense Research, l’operazione Sindoor dimostra “la determinazione del governo indiano a rispondere al terrorismo, indipendentemente dalle conseguenze”. Questo riflette un cambio di approccio rispetto ad azioni precedenti più contenute, come i raid chirurgici del 2016 e gli attacchi di Balakot del 2019, che Jacob definisce “azioni militari di basso livello” e che “potrebbero non essere più la risposta preferita” da New Delhi. L’India intende ora rendere la “risposta militare agli attacchi terroristici” una norma dottrinale, adottando una postura più assertiva.
L’operazione mette anche in discussione le vecchie distinzioni tra aggressione sub-convenzionale e convenzionale. Jacob evidenzia come “Operation Sindoor miri a dimostrare che l’India non accetta più una distinzione netta tra terrorismo (sub-convenzionale) e aggressione militare (convenzionale)”. Il contesto è quello in cui l’India accusa il Pakistan di essere dietro alle attività di alcuni gruppi armati come il The Resistance Front (Trf), responsabile della strage di Pahalgaa. La sigla è ritenuta dalle autorità indiane un mero alias del Lashkar-e-Taiba (LeT) — a sua volte ritenuta foraggiata da attività clandestine dell’intelligence pakistana.
Offuscando questa linea, l’India intende eliminare il vantaggio strategico di cui il Pakistan ha storicamente goduto, evitando ritorsioni dirette dopo attacchi terroristici. Questo cambiamento ridefinisce la scala dell’escalation, ponendo sul Pakistan la responsabilità di prevenire attività terroristiche, se vuole evitare una risposta militare convenzionale.
Colpendo infrastrutture terroristiche di alto valore, l’India vuole segnalare che attacchi simili non saranno più tollerati senza gravi conseguenze. L’obiettivo diretto è ristabilire la deferenza, ma anche creare una situazione a innesco automatico (tripwire) per l’escalation. “La dottrina indiana, come sottolineato dall’operazione, stabilisce che un attacco terroristico contro l’India equivale, in realtà, all’inizio di un conflitto militare convenzionale da parte del Pakistan”, commenta Jacob. Questo ribalta la narrativa tradizionale, posizionando il Pakistan come l’aggressore responsabile di ogni conflitto successivo. Inoltre, riduce la possibilità per Islamabad di negare il proprio coinvolgimento, poiché la semplice presenza di gruppi anti-indiani sul suo territorio è ora ritenuta sufficiente per giustificare un’azione punitiva.
Da qui si evince che l’implicazione più profonda dell’Operazione Sindoor riguarda i rapporti bilaterali. Per Jacob si è di fatto posto fine al vecchio rapporto tra India e Pakistan. “È improbabile un ritorno al formato precedente fatto di dialoghi comprensivi, discussioni sul Kashmir e cooperazione tra le popolazioni”. Questo sottolinea il ruolo dell’operazione come spartiacque, che chiude la porta ai meccanismi diplomatici tradizionali. L’approccio indiano si orienta ora verso la deterrenza militare piuttosto che il dialogo, riflettendo un riallineamento strategico di fronte alla minaccia persistente del terrorismo.
L’operazione ha conseguenze anche sui rapporti dell’India con partner e attori internazionali. Mentre la Russia ha espresso preoccupazione per l’aumento delle tensioni e alcuni parlamentari indo-americani hanno manifestato sostegno, l’operazione indica una ridotta tolleranza verso le mediazioni esterne. L’India si aspetta ora che i propri partner si allineino alla sua posizione antiterrorismo, contribuendo a isolare ulteriormente il Pakistan sul piano diplomatico. Differentemente, c’è consapevolezza che la Cina prenda una posizione più pro-pakistana, sia per le tensioni in corso tra Pechino e New Delhi, sia perché il Pakistan è fondamentale per la Belt and Road Initiative (Bri). L’infrastruttura geopolitica con cui il leader Xi Jinping intende connettere la Repubblica popolare cinese, riposizionando “La Cina al Centro” (per citare il libro del prof. Maurizio Scarpari), anche attraverso il corridoio sino-pakistano che dà sbocco della Bri nell’Oceano Indiano.
In definitiva, l’Operazione Sindoor non è solo un attacco militare, ma una dichiarazione strategica. Riflette la volontà dell’India di ridefinire la propria risposta al terrorismo, sfidare le logiche deterrenti del Pakistan e trasformare i rapporti bilaterali. Come mostra Jacob, l’operazione segna un cambiamento dottrinale con profonde ripercussioni per la stabilità regionale e il ruolo dell’India nel contesto globale. Se questa nuova postura riuscirà a prevenire futuri attacchi o porterà a una maggiore tensione, resta da vedere; ma per ora, l’India ha tracciato una linea netta.