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I dazi non piegano la manifattura italiana, anche grazie al pharma. Report Intesa

La guerra commerciale continua a rappresentare un fattore di incertezza e inquietudine per le imprese italiane. Ma sia nel 2025, sia nei prossimi anni, non ci sarà nessun collasso industriale. Anche grazie alla garanzia dell’export

C’è una Germania ferma, impantanata nelle sabbie mobili della stagnazione (nel 2025, secondo la Commissione europea, Berlino registrerà crescita zero), e c’è una guerra commerciale ancora troppo strisciante, nonostante l’avanzata di accordi dal sapore di tregua, cuciti su misura dei singoli mercati (Regno Unito, Cina e, ora, forse l’Europa). Tanto basta a mettere le imprese italiane sotto l’ombra dell’incertezza, come emerso dal rapporto sui distretti industriali italiani, presentato da Intesa Sanpaolo a Piazza Belgioioso.

Premessa, l’Italia ha i propri assi da giocare, su questo ci sono pochi dubbi. Tra questi, la farmaceutica. Se infatti, “nel 2025 l’industria manifatturiera italiana si stabilizzerà sui livelli di fatturato 2024 a prezzi costanti”, scrivono gli economisti di Intesa e Prometeia, le “performance più brillanti interesseranno farmaceutica (+2,4% ), meccanica (+1,7%) e largo consumo (1,2%)”. E questo al netto dei dazi, che continuano a far paura. “I primi mesi dell’anno sono stati caratterizzati da una grande incertezza su scala globale, alimentata dal susseguirsi degli annunci di nuove misure tariffarie da parte dell’amministrazione americana. Nonostante la temporanea sospensione dei dazi, gli effetti indiretti sul commercio mondiale sono stati molteplici, dall’aumento degli acquisti preventivi ai maggiori costi di trasporto sulle rotte Asia-Stati Uniti”.

Tanto è grave il problema, che “il recupero atteso nei prossimi mesi non sarà sufficiente, tuttavia, per riportare il manifatturiero italiano su un percorso di crescita, ma potrà garantire una sostanziale stabilizzazione del fatturato sui livelli 2024, a prezzi costanti e un modesto recupero a prezzi correnti (+1,8%, dopo il -3,4% registrato nel 2024), verso un giro d’affari complessivo pari a 1143 miliardi di euro, 229 miliardi in più rispetto al 2019”. La parte del leone, nemmeno a dirlo, la farà ancora una volta l’export, specialmente su scala europea. “Fondamentale il contributo del canale estero, in particolare il recupero della domanda europea. La riattivazione del commercio intra-Ue sarà un fattore chiave per controbilanciare la situazione di generale debolezza degli scambi mondiali. Il recupero della domanda europea sarà guidato dal raffreddamento dell’inflazione, accompagnato da un’ulteriore discesa dei tassi ufficiali, e dalla ripresa della Germania dopo due anni di stallo del ciclo economico”.

Poi c’è il versante delle famiglie, che chiama direttamente in causa il potere di acquisto. Il quale “sarà comunque parziale, dati i livelli dei prezzi che si manterranno superiori al pre-crisi e alla necessità di ricostituire i risparmi erosi durante la fase più acuta della spirale inflattiva. Gli acquisti di beni, soprattutto di durevoli per la mobilità e di prodotti voluttuari come la moda, continueranno a stazionare su livelli depressi”, sottolineano da Intesa Sanpaolo. Chiarendo anche un altro concetto. “Sul fronte investimenti, la riduzione dei tassi e le buone condizioni reddituali delle imprese, unite alla presenza di incentivi (Zes unica e Transizione 5.0), favoriranno una ripartenza della componente beni strumentali, dopo la caduta del 2024, nonostante il freno indotto dall’incertezza. Un sostegno sarà offerto anche dal proseguimento della doppia transizione e dal rafforzamento infrastrutturale connesso al Pnrr, i cui finanziamenti manterranno in crescita gli investimenti del Genio Civile, a fronte del rientro delle ristrutturazioni edilizie dai livelli record raggiunti nel 2023”.

E il futuro? Difficile dirlo, ma ci si può provare. “Nell’orizzonte 2026-29 il manifatturiero italiano è atteso crescere a un ritmo medio annuo dell’1% in termini di fatturato, sintesi di un biennio 2026-27 più dinamico (+1,2% il tasso di crescita medio annuo), grazie alla spinta degli investimenti del Pnrr e di un biennio 2028-29 che riporterà la crescita sotto l’1%. A partire dal 2028, infatti, in assenza di nuovi provvedimenti a sostegno del mercato interno, il ruolo di traino tornerà a essere affidato soprattutto alle esportazioni. Il contesto di domanda mondiale si confermerà più debole rispetto al passato, caratterizzato dal permanere di rischi geopolitici e dall’insorgere di nuovi equilibri derivanti da modifiche nella geografia degli scambi”. Insomma, poteva andare peggio.


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