Negli ultimi cinque anni le retribuzioni hanno perso oltre il 10%, sancendo lo sganciamento dal costo della vita e creando nuove forma di povertà. Troppi laureati lasciano il Paese e chi resta non ha sempre voglia di lavorare. Sul versante dell’energia, prosegue il boom delle rinnovabili
Una trincea, sempre più larga, sempre più profonda. Tra buste paga e costo della vita c’è ormai un abisso, con il risultato che il potere di acquisto delle famiglie italiane è sempre più lontano dalle esigenze quotidiane. Che in Italia gli stipendi siano al palo da anni è cosa fin troppo nota. Il problema è che non si vede una reale inversione di tendenza, non nel medio termine al meno. E così, mentre in Europa i prezzi continuano a viaggiare, dopo la micidiale combo pandemia, guerra e dazi, in Italia far quadrare i conti è sempre più difficile. Specialmente se poi il Paese in questione è ancora troppo dipendente dal punto di vista energetico. L’ultimo rapporto dell’Istat, presentato alla Camera, mette il dito nella piaga.
Tra il 2019 e il 2024 le retribuzioni contrattuali hanno perso il 10,5% in termini di potere d’acquisto. Vale a dire che alla fine del 2024 la crescita delle retribuzioni contrattuali per dipendente è stata pari al 10,1% rispetto all’inizio del 2019, a fronte di un aumento dell’inflazione pari al 21,6%. Lo sganciamento tra il salario e il costo della vita è evidente. Nel caso delle retribuzioni lorde, dal 2019 al 2024 la perdita di potere d`acquisto è stata più contenuta e pari al 4,4% in Italia, al 2,6% in Francia e all’1,3 % in Germania, mentre in Spagna si registra un guadagno del 3,9%.
Non può dunque stupire che oggi, sempre secondo l’Istat, oltre un quinto della popolazione residente in Italia sia a rischio di povertà o esclusione sociale: il 23,1% della popolazione, sostanzialmente stabile rispetto al 2023, ricade in almeno una delle tre condizioni che definiscono il rischio di povertà o esclusione sociale. Il Mezzogiorno resta l`area più esposta al rischio di esclusione sociale. L’incidenza raggiunge il 39,8% nel Sud e il 38,1% nelle Isole. L’incidenza è più bassa per chi vive in coppia senza figli, soprattutto se la persona di riferimento della famiglia ha almeno 65 anni (15,6%), ed è invece quasi doppia per gli individui che vivono in famiglie in cui il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni (30,5%).
Certo, c’è un tema di produttività, anche. Dall’Istituto di statistica hanno chiarito come l’Italia, in particolare dopo il Duemila, è stata caratterizzata da una crescita economica contenuta e da una dinamica molto debole della produttività. Dal 2000 al 2024, il Pil in Italia è aumentato del 9,3% in termini reali: nello stesso periodo la crescita è stata di circa il 30% in Germania e Francia e di oltre il 45% in Spagna. E che dire della popolazione che invecchia, con la ragionevole prospettiva di mettere ancora di più sotto pressione la spesa pensionistica?
In Italia l’invecchiamento della popolazione “continua a intensificarsi: al’1 gennaio 2025 il 24,7% della popolazione è composto da persone oltre i 65 anni mentre l’11,9% della popolazione ha 0-14 anni; sono 4,6 milioni gli over 80 anni, 4,3 milioni i bambini tra 0 e 10 anni, 23.500 gli ultracentenari”. Di più. L’Italia ha visto emigrare negli ultimi 10 anni circa 97 mila giovani laureati con un record nel 2024 e l’uscita di 21 mila giovani con un alto livello di istruzione. E chi resta, non ha sempre voglia di lavorare, anche se potrebbe. Nel 2024, la forza lavoro inutilizzata, persone che potrebbero lavorare ma non lo fanno, contava circa 3,8 milioni di individui. Di questi, 1,7 milioni sono disoccupati e 2,1 milioni sono inattivi che non cercano lavoro ma potrebbero essere disponibili, oppure che lo cercano senza essere disponibili nell’immediato.
Nel rapporto dell’Istat ha trovato spazio anche l’energia. E qui la buona notizia, c’è. Tra il 2005 e il 2024 è triplicata la produzione di energia da fonti rinnovabili: in quest’ambito l`Italia resta indietro rispetto alle altre maggiori economie europee, anche se negli ultimi anni si è avuta un`accelerazione.
Parallelamente, si sono ridotte le pressioni generate dal sistema economico sull’ambiente. Permangono tuttavia elevati i rischi naturali, associati anche alla maggior frequenza di eventi climatici estremi. Tornando alle energie pulite, ad oggi sono state installati circa 130 Twh, contro quasi 380 in Germania, oltre 160 in Spagna e 150 in Francia, in questi ultimi due Paesi, tuttavia, il nucleare, considerato energia pulita, concorre rispettivamente per altri 55 e 380 Twh. E cresce la quota di produzione netta di energia elettrica da fonti rinnovabili (trainata soprattutto dal fotovoltaico). Nel 2024 questa ha rappresentato il 49% del totale, contro circa il 16,1% nel 1990 e circa il 40% nel 2014.