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Nonostante i fallimenti, Kim va preso sul serio. Arditti spiega perché

Continuare a trattare Kim come una caricatura da Guerra Fredda significa ignorare la realtà: la Corea del Nord di oggi è un attore militare rilevante, in grado di influenzare gli equilibri tra Cina, Russia e Stati Uniti. E questo dovrebbe preoccupare davvero

C’è una Corea del Nord che si piega, e una che si rialza. Il 21 maggio 2025, nel porto di Chongjin, si è consumato un episodio imbarazzante per il regime: il varo di un nuovo cacciatorpediniere da 5.000 tonnellate, salutato come “una pietra miliare della sovranità marittima”, si è trasformato in un disastro. La nave si è inclinata sul lato sinistro per un errore nella rampa di lancio, danneggiando lo scafo. Kim Jong-un, presente alla cerimonia, ha parlato di “atto criminale” e ha convocato per giugno una sessione straordinaria del Comitato centrale per individuare e punire i responsabili.

Eppure, pochi giorni prima – il 25 aprile – nel cantiere navale di Sinpo, era andato in scena un evento opposto: il varo senza intoppi della Choe Hyon, cacciatorpediniere di nuova generazione lungo 140 metri, dotato di lanciamissili verticali e radar avanzati. Un doppio binario che racconta meglio di qualsiasi analisi il momento della Corea del Nord: un paese stretto tra ambizioni belliche sfrenate e limiti tecnici evidenti, tra autocelebrazione e autocritica repressiva.

Ma sottovalutare Kim Jong-un sarebbe un errore. Il regime di Pyongyang sta compiendo uno sforzo industriale su larga scala in campo militare. È un’economia bellica a tutti gli effetti, in cui ogni cantiere, ogni ricerca, ogni infrastruttura è subordinata all’obiettivo strategico: far contare la Corea del Nord. E oggi, più di ieri, Kim può contare su alleati determinanti.

Con la Russia di Putin è nato un asse sempre più saldo. Dopo mesi di contatti segreti, il patto si è formalizzato a novembre 2024 con un trattato di partenariato strategico: assistenza reciproca in caso di attacco, scambi tecnologici e cooperazione diretta sul campo. È ormai acclarato che Pyongyang abbia spedito in Russia almeno 15.000 container di munizioni e armi leggere. In cambio, Mosca offre tecnologia, satelliti militari, droni kamikaze e persino supporto per lo sviluppo di nuovi vettori balistici. Una parte di questi know-how è confluita nei recenti lanci nordcoreani, compreso quello fallito del satellite Malligyong-1-1 nel maggio 2024, esploso in fase iniziale per un guasto al motore a ossigeno liquido e cherosene, di progettazione russa.

Se con Mosca la relazione è strategica, con Pechino resta ambivalente. La Cina è il principale partner commerciale del Nord, l’unico capace di alleviare l’impatto delle sanzioni internazionali. Ma Xi Jinping guarda con freddezza alle provocazioni militari di Kim: le appoggia se servono a infastidire Washington, le teme se destabilizzano la penisola. È una relazione fatta di convenienze più che di alleanze.

Tutto questo si inserisce in una narrazione interna che il regime vuole alimentare con forza: la Corea del Nord è circondata, deve armarsi, deve proiettare potenza. Gli ultimi mesi hanno visto un’escalation di esercitazioni aeree, missilistiche e navali, supervisionate direttamente da Kim. Il Paese è affamato, ma non disarmato. Il popolo vive sotto controllo, ma il potere si regge su una macchina militare efficiente, brutale e in espansione.

È questo il punto più pericoloso: non tutto va bene a Pyongyang, ma non bisogna illudersi. L’industria degli armamenti nordcoreana si sta rafforzando, anche grazie a input esterni. Non è perfetta, ma è in crescita. Continuare a trattare Kim come una caricatura da Guerra Fredda significa ignorare la realtà: la Corea del Nord di oggi è un attore militare rilevante, in grado di influenzare gli equilibri tra Cina, Russia e Stati Uniti. E questo – più del singolo varo fallito – dovrebbe preoccupare davvero.


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