Dalla Palestina all’Ucraina, fino ai conflitti dimenticati in Africa e Sud America, il mondo è attraversato da tensioni profonde. Nella sua riflessione, Malgieri invita a interrogarsi sul senso della pace e sul ruolo delle istituzioni e delle coscienze nel ricostruirla
Il mondo sta diventando uno sterminato campo di battaglia sul quale si accendono conflitti che sembrano destinati a non spegnersi più. Secondo alcuni centri di studi geopolitici come l’Acled (Armed conflict location and event data), attualmente sono in corso 56 guerre che coinvolgono, in maniera diretta o indiretta, ben 96 Paesi, tra questi anche l’Italia che partecipa in vario modo a missioni cosiddette di pace o a fornire armi ai belligeranti.
Negli ultimi cinque anni, gli episodi di conflitti di varia natura sono quasi raddoppiati, passando da oltre 104.000 nel 2020 a quasi 200.000 nel 2024 (di cui la metà dovuti a bombardamenti). Questi eventi hanno causato oltre 233.000 decessi nel solo 2024, una stima molto probabilmente al ribasso, e ben centomila profughi. Papa Bergoglio parlò di una “terza guerra mondiale a pezzi”. E la definizione del pontefice nessuno la può smentire se soltanto si considera che in quasi tutti gli angoli del mondo, in un modo o nell’altro, si combatte per il potere, per acquisire ricchezze, per colonizzare popoli, per distruggere identità.
Il mondo ha paura e in essa s’insinua il demone del disfacimento assoluto, della empietà come stile di vita, dell’odio quale unica o prevalente forma di atteggiamento nei confronti del vicino di casa o di confine.
Tra il conflitto israelo-palestinese e quello russo-ucraino fino alla guerra civile strisciante nel Myanmar, scenari dove le vittime si contano a migliaia, ce ne sono decine più o meno sconosciuti perché l’interesse strategico delle grandi potenze, responsabili delle guerre, li considerano “appendici” della loro sete di dominio ed utilizzano i conflitti religiosi ed etnici per farsi “guerre per procura”: sembra che appaiano e scompaiano con i loro sofisticati armamenti, in particolare i droni, lasciando sul terreno migliaia di derelitti, morti, feriti, senza casa né un minimo di decorosa vita civile. Il terrore spesso viene dall’alto e nei teatri di guerra dimenticati come il Sahel, il Sudan, il Corno d’Africa, senza dimenticare le guerre intestine tra clan rivali in numerose nazioni sudamericane e la guerra “impropria” che si combatte dall’Afghanistan alle rive del sud del Mediterraneo fino al Mali al Burkina Faso e allo Yemen , non c’è nessuno, se non la Chiesa che alzi la voce per chiedere con il pontefice Leone XIV la pace quale indispensabile condizione per una convivenza civile tra gli Stati ed i Popoli.
L’Europa in tutto questo sembra assente, incapace di influenzare il corso degli eventi e soggetta agli interessi delle grandi potenze. Per di più asseconda i mercanti di armi che sostengono molti governi e dimentica, negli inutili vertici dell’Unione, i drammi che si consumano in ogni parte del mondo.
Inoltre, potenze come la Cina, la Russia e la Turchia, cercano di condizionare aree dove si combatte nell’indifferenza del mondo cosiddetto “libero”, e utilizzano conflitti spesso da essi stessi innescati o avallati per cercare di costruire una autonoma rete di alleanze sempre più estesa.
Al contempo, l’Unione europea, emblema della pace dopo la Seconda Guerra Mondiale, che più ha sofferto gli esiti del conflitto insieme con il Giappone, sembra incapace di esercitare la necessaria dissuasione e cercare un incontro che metta fine a tutte le guerre, incominciando dalle più cruente.
In tutto questo, l’Organizzazione delle Nazioni Unite sembra vivere su un altro pianeta. Non una iniziativa rimarchevole, a nostra memoria, sembra aver coinvolto i sonnacchiosi burocrati del Palazzo di Vetro. Nulla sembra scuotere il Consiglio di Sicurezza nel quale gli odi e le divisioni sono profonde, né l’Assemblea generale che si limita a prendere atto dei morti che si accatastano in Asia, Africa, Europa, America Latina e Centro America.
I pensieri dei Grandi sono piuttosto puntati sulle “terre rare” come sulla Groenlandia: un bottino che esclude i poveri, mentre Pakistan e India si massacrano alla faccia del vecchio colonialismo che almeno era in grado di mantenere un minimo di ordine civile.