Pd, Movimento 5 Stelle e Avs hanno organizzato una manifestazione pro Gaza il 7 giugno prossimo. Il partito Liberaldemocratico non aderirà, perché occorre non solo chiedere un cessate il fuoco a Israele, ma condannare fermamente i macellai di Hamas. Se l’Italia vuole essere protagonista, proponga all’Europa di riprendere – su base più ampia – il percorso degli Accordi di Abramo. Potrebbe trovare una grande eco. Anche perché si tratta di una delle poche cose buone fatte da Trump. Colloquio con il deputato Luigi Marattin
Immaginare una manifestazione bipartisan per chiedere un cessate il fuoco alle truppe israeliane, ma al contempo una ferma condanna di Hamas a quelle latitudini è “impossibile” perché “nella politica italiana manca una visione condivisa di quanto sta succedendo, e da molto tempo, in quella parte del mondo”. L’unica idea per un’iniziativa unitaria potrebbe essere finalizzata a “riprendere il percorso degli Accordi di Abramo”. A lanciare l’idea sulle colonne di Formiche.net è il deputato Luigi Marattin, leader del partito Liberaldemocratico.
Onorevole Marattin. Alcune forze di opposizione hanno organizzato una manifestazione, il 7 giugno, pro Gaza e contro le iniziative del governo israeliano. Non c’è il rischio di assistere a una piazza più di slogan anti-ebraici piuttosto che a una – legittima – richiesta di cessare le ostilità?
Il serio rischio, direi. Lo dice non solo l’esperienza storica, ma anche il comportamento dei principali organizzatori (Pd, M5S e Avs), che negli ultimi tempi – proprio per dimostrare equidistanza- si sono presentati in Parlamento con la kefiah e la bandiera palestinese. Il partito Liberaldemocratico starà ben lontano da questo genere di iniziative.
Il fatto che le forze di sinistra trovino una sintesi su Gaza, in chiave anti-governativa, che cosa suggerisce in termini politici?
Che finalmente si sta consolidando un quadro politico più chiaro. Il cosiddetto Campo Largo è un’offerta politica di stampo socialista, che in politica estera ha posizioni ambigue sul sostegno all’Ucraina e a Israele e che in politica economica segue pedissequamente la linea della Cgil. Dico “finalmente” perché è giusto e sano che ci sia chiarezza sulle offerte politiche in campo, senza ambiguità e senza commistioni.
E in che modo si sostanzia questo schieramento politico alternativo ed eterogeneo?
Questa offerta politica, in particolare, è presente in tutto il mondo: è quella di Melenchon in Francia, di Alexandra Ocasio-Cortez negli Stati Uniti, di Lula in Brasile. Il partito Liberaldemocratico è lontano anni luce da questa offerta politica, come lo è specularmente da quella sovranista-populista di destra, che ha in Matteo Salvini il suo massimo esponente (anch’essa è un’offerta presente in tutto il mondo: da Farage nel Regno Unito a la Le Pen in Francia, passando per Orban in Ungheria e AfD in Germania). Sta al resto delle forze politiche presenti in Italia scegliere se vogliono continuare nell’impresa impossibile e illusoria di “temperare” questi opposti populismi, o se vogliono una volta e per tutte riunirsi sotto un’offerta politica liberaldemocratica che si ponga come obiettivo quello di sconfiggere i populismi, non di temperarli.
È sufficiente manifestare per Gaza o per il referendum per costruire un programma politico alternativo alla destra e potenzialmente competitivo?
La costruzione di una ennesima Santa Alleanza contro il centrodestra non riguarda il partito Liberaldemocratico. Come ho detto, noi nasciamo con l’obiettivo di far nascere un’offerta politica che sia alternativa ai populismi di destra e di sinistra. Ho già sperimentato alleanze tenute insieme con il solo scopo di non far vincere l’avversario, ma che poi al loro interno hanno idee radicalmente opposte su come gestire i problemi del Paese. E non mi mancano per niente. Il Paese ha bisogno di tutt’altro. In troppi dimenticano che l’Italia è il paese sul pianeta Terra (se escludiamo qualche isolotto oceanico) che da quando è iniziata la globalizzazione è cresciuto meno. È finito il tempo delle chiacchiere e delle alleanze politichesi. Se si vuole evitare il declino del paese, occorre agire con coraggio e chiarezza, smettendo di trattare gli italiani come dei bambini a cui raccontare la favola della buonanotte.
Tornando al 7 giugno. Non avrebbe avuto più senso realizzare un’iniziativa bipartisan per chiedere, da un lato lo stop alle operazioni militari israeliane, ma dall’altro una ferma condanna ai terroristi di Hamas?
È impossibile perché nella politica italiana manca una visione condivisa di quanto sta succedendo, e da molto tempo, in quella parte del mondo. La nostra visione è la seguente. Il conflitto non è tra Israele e i palestinesi, ma tra uno stato democratico (Israele) e un’organizzazione terroristica e fondamentalista (Hamas). Che quando ha avuto la possibilità di governare il territorio palestinese (proprio Gaza, dopo il ritiro delle forze israeliane nel 2005), ha preso le armi contro i palestinesi moderati e li ha annientati. Poi ha usato le risorse ingenti che venivano dai Paesi del Golfo non per dimostrare al mondo di essere in grado di costruire sviluppo e cercare la pace, ma per scavare tunnel, costruire postazioni di lancio di razzi e armarsi pesantemente. Questo accade per un motivo molto semplice: l’obiettivo di Hamas non è la pace, ma distruggere lo stato di Israele. Così come quello di Al-Qaeda e dell’Isis era distruggere il mondo occidentale. Ne deriva che Hamas, se non vuole evolvere come hanno fatto altri movimenti terroristici in passato quali l’Ira o più recentemente il Pkk, deve essere sconfitta. Questo deve avvenire sia militarmente che con la politica. L’errore di Netanyahu è pensare, in modo ormai cieco, che basti solo il primo modo, non importa quante vittime civili comporta. Invece va ripresa l’iniziativa degli Accordi di Abramo, che dopo aver coinvolto Emirati Arabi Uniti e Bahrein devono allargarsi ai paesi arabi maggiori, a cominciare dall’Arabia Saudita. Ecco, vuole un’idea per una manifestazione unitaria? L’Italia si attivi per far riprendere subito il cammino di quegli accordi. È una tematica che può unire maggioranza e opposizione.
Molti sostengono che la questione israelo-palestinese sia per la verità utilizzata più che altro per alimentare lo scontro interno fra i partiti politici. Assenza di argomenti?
Come dicevo, manca una visione condivisa. Nessuno ricorda che Israele è stata aggredita militarmente fin dal giorno successivo alla proclamazione del suo Stato, il 15 maggio 1948. E poi ancora nel 1956, nel 1967, nel 1973. Per fermarci ovviamente alle guerre che hanno determinato la situazione attuale, anche per quel che riguarda le dispute sulla West Bank, Gerusalemme Est e le alture del Golan. Noi non abbiamo paura di dire che la politica che sta seguendo Netanyahu è miope, se non fosse altro che non raggiunge l’obiettivo per ora prioritario, cioè la liberazione di tutti gli ostaggi rapiti da quei macellai di Hamas il 7 ottobre. Ma certamente non abbiamo paura nel dire che siamo dalla parte dei palestinesi che manifestano contro Hamas, perché chiedono la possibilità di vivere in pace e con un loro Stato.
Allargando lo sguardo a una dimensione più strategica, dal suo punto di vista non si corre il rischio, con una manifestazione come quella in programma nelle prossime settimane, di far perdere credibilità all’Italia come interlocutore e attore internazionale quindi depotenziarla nel suo ruolo di player che possa realmente perseguire un obiettivo di pace?
Il Medio Oriente è sempre stato un luogo in cui l’Italia ha potuto giocare un ruolo. Penso alla missione in Libano nel 2006 o, ancor prima, il Lodo Moro e l’attività del colonnello del Sismi Giovannone. Molta acqua è passata sotto i ponti da allora, ma lo ripeto. Se l’Italia vuole essere protagonista, proponga all’Europa di riprendere – su base più ampia – il percorso degli Accordi di Abramo. Potrebbe trovare un’ampia eco. Anche perché si tratta di una delle poche cose buone fatte da Trump.