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L’Italia ha le carte in regola per guidare l’asse con Germania, Francia e Polonia. La versione di Calovini

Con l’arrivo al governo del cancelliere Merz, la Germania si avvia verso un orizzonte politico finalmente compatibile con quello italiano. Francia, Germania, Italia e Polonia rappresentano il cuore demografico, economico e militare dell’Unione. Una loro convergenza su grandi dossier strategici – dalla difesa all’energia, dalla riforma delle istituzioni europee fino alla politica industriale – potrebbe finalmente traghettare l’Europa fuori da una stagione segnata da paralisi. E nell’Indo-Pacifico il nostro Paese ha un ruolo strategico. Colloquio a tutto campo con il deputato di FdI, Giangiacomo Calovini

“L’Italia non è più un comprimario. Con l’arrivo al governo del cancelliere Merz, la Germania si avvia verso un orizzonte politico finalmente compatibile con quello italiano: centrodestra, attenzione alla competitività industriale, approccio sobrio e realistico alla transizione ecologica, volontà di rafforzare la difesa comune europea”. Giangiacomo Calovini, parlamentare di Fratelli d’Italia e capogruppo in Commissione Affari Esteri traccia sulle colonne di Formiche.net una panoramica sulle priorità di agenda geopolitica dell’esecutivo.

La Commissione Europea ha pubblicato una nuova maxi-lista di controdazi verso gli StatiUniti. Qual è la sua valutazione della posizione europea?

Credo che, al di là delle ragioni legittime alla base della risposta europea, sia fondamentale non smarrire il quadro strategico complessivo. Gli Stati Uniti non sono un competitor come gli altri: sono il nostro principale alleato politico, militare e culturale, il pilastro della sicurezza euro-atlantica. Alimentare oggi una spirale di tensione commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, mentre affrontiamo sfide sistemiche come la competizione tecnologica con la Cina e la guerra in Ucraina, rischia di indebolire l’intero fronte occidentale. È evidente che l’Europa debba tutelare la propria industria, ma ciò va fatto con senso di responsabilità, tenendo aperto il canale del dialogo. In questo contesto, l’Italia può giocare un ruolo fondamentale. I rapporti consolidati tra il governo italiano e l’amministrazione Trump – basati su rispetto reciproco e visione condivisa – ci pongono nella posizione ideale per promuovere un riequilibrio delle relazioni transatlantiche su basi pragmatiche. Non servono guerre commerciali, serve una politica estera industriale che metta al centro gli interessi strategici condivisi dell’Occidente.

L’accordo tra Stati Uniti e Regno Unito sui dazi potrebbe rappresentare un modello ancheper l’Unione Europea?

Assolutamente sì. L’intesa raggiunta tra Washington e Londra dimostra che, con volontà politica e approccio realista, è possibile superare le tensioni tariffarie e costruire una cooperazione commerciale fondata sulla reciprocità. Questo dovrebbe essere un precedente da valorizzare anche a Bruxelles. Oggi c’è una finestra di opportunità che va colta: lo stesso presidente Trump ha manifestato l’interesse a definire un nuovo patto economico con l’Europa. È nostro dovere esplorare questa disponibilità, anche perché un accordo commerciale UE-USA non rappresenterebbe solo una svolta economica, ma anche un rafforzamento politico dell’alleanza occidentale. L’Italia può fungere da facilitatore di questo percorso, mettendo a frutto il proprio posizionamento privilegiato. È il momento di archiviare la stagione dell’ideologia e costruire una politica commerciale estera all’altezza delle sfide globali.

Il primo viaggio all’estero del cancelliere tedesco Merz è stato in Francia. È un segnale dirafforzamento dell’asse franco-tedesco? E come si colloca l’Italia anche alla luce degli ultimi sviluppi e della riunione dei Volenterosi?

Non credo sia corretto interpretare questo viaggio come una novità. La tradizione diplomatica tedesca prevede, da decenni, che il primo viaggio all’estero del cancelliere sia a Parigi e il secondo a Varsavia. È parte del cosiddetto triangolo di Weimar, non un rafforzamento inedito dell’asse franco-tedesco. Detto questo, il vero dato politico da osservare oggi è un altro: l’Italia non è più un comprimario. Con l’arrivo al governo del cancelliere Merz, la Germania si avvia verso un orizzonte politico finalmente compatibile con quello italiano: centrodestra, attenzione alla competitività industriale, approccio sobrio e realistico alla transizione ecologica, volontà di rafforzare la difesa comune europea. È in questo spazio che l’Italia può collocarsi, come partner strategico e come voce di equilibrio. Non abbiamo bisogno di assi bilaterali, ma di coalizioni di Stati che condividano una visione pragmatica dell’Europa, lontana dagli eccessi ideologici che l’hanno indebolita negli anni passati.

Se si consolidasse un asse tra Francia, Germania, Italia e Polonia, che effetti avrebbe sugliequilibri europei?

Sarebbe un cambio di passo importante. Francia, Germania, Italia e Polonia rappresentano il cuore demografico, economico e militare dell’Unione. Una loro convergenza su grandi dossier strategici – dalla difesa all’energia, dalla riforma delle istituzioni europee fino alla politica industriale – potrebbe finalmente traghettare l’Europa fuori da una stagione segnata da paralisi burocratica, miopia tecnocratica e derive ideologiche. Un’alleanza strutturata tra questi quattro Paesi rappresenterebbe una nuova centralità per un’Europa più sobria, competitiva e realista. Un’Europa che torna a essere uno strumento al servizio dei cittadini, non una sovrastruttura autoreferenziale. L’Italia ha tutte le carte in regola per guidare questo processo, con credibilità e spirito costruttivo.

Il premier Meloni ha annunciato che l’Italia raggiungerà il 2% del PIL in spesa per la difesanel 2025. Che implicazioni avrà questa scelta?

Si tratta di un impegno storico, che proietta l’Italia tra i Paesi leader nella difesa dell’Occidente. Il 2% del PIL non è un semplice parametro contabile: è il simbolo di un’assunzione di responsabilità. Vuol dire che l’Italia vuole essere protagonista, e non semplice spettatrice, della sicurezza collettiva euro-atlantica. Ma c’è di più. Investire nella difesa significa anche sostenere ricerca, tecnologia, innovazione, posti di lavoro qualificati. Significa rafforzare le nostre filiere strategiche, dall’aerospazio alla cybersicurezza. È una politica industriale, non solo militare. E nel nuovo contesto globale – segnato da
guerre convenzionali, minacce ibride, sfide tecnologiche – non possiamo più permetterci ambiguità. La scelta del governo Meloni rafforza la nostra posizione nella Nato, ma anche la nostra capacità di incidere negli equilibri europei.

In un contesto globale segnato dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, come valuta il riacutizzarsi delle tensioni tra India e Pakistan?

Il conflitto tra India e Pakistan rappresenta uno dei teatri di tensione più delicati a livello globale, non solo per l’instabilità regionale, ma anche per la dimensione nucleare che caratterizza entrambi gli attori. In un contesto già segnato dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, ogni escalation in Asia meridionale avrebbe implicazioni di sistema, anche per l’equilibrio globale. Per l’Italia è essenziale promuovere stabilità attraverso relazioni bilaterali strutturate con quei Paesi che, come l’India, giocano un ruolo crescente sulla scena internazionale. La recente firma dell’accordo bilaterale di cooperazione in materia di difesa, la cui ratifica parlamentare è proprio prevista in questi giorni, va inquadrata in questa prospettiva: rafforzare il dialogo e la collaborazione con un partner chiave, nel rispetto del diritto internazionale e con attenzione alle dinamiche di sicurezza regionali. L’Italia, anche nell’Indo-Pacifico, mira a costruire partenariati improntati a pragmatismo e cooperazione, senza ambizioni egemoniche. È con questo spirito che intendiamo contribuire a una governance internazionale più stabile, promuovendo soluzioni multilivello che privilegino la diplomazia e lo sviluppo sostenibile.


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