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L’Oms punta sulla medicina tradizionale. Un assist a Pechino?

L’Oms approva la nuova strategia globale sulla medicina tradizionale, tema caro alla Cina. L’Ue avverte: no a pratiche senza evidenze scientifiche. Nel vuoto lasciato dagli Usa, Pechino rilancia i finanziamenti con 500 milioni aggiuntivi

Un segnale forte sul riconoscimento globale della medicina tradizionale è arrivato lunedì sera dall’Assemblea mondiale della sanità, che ha approvato la nuova Global traditional medicine strategy 2025–2034. Un testo che punta ad aumentare gli investimenti nella ricerca e a integrare le pratiche di guarigione tradizionali nei sistemi sanitari moderni, non in assenza di critiche. La strategia rappresenta sicuramente un passo storico per le comunità indigene e per quei Paesi – in particolare dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina – che da decenni rivendicano il valore di pratiche mediche radicate in tradizioni millenarie. Secondo dati Oms, forme di medicina tradizionale e complementare sono oggi utilizzate regolarmente da una larga fetta della popolazione in Paesi come Canada (70%), Francia (49%) e Australia (48%), con percentuali che raggiungono l’80% in alcuni Stati africani.

LE PERPLESSITÁ DELL’UE

Se da un lato l’approvazione è stata accolta con entusiasmo dai Paesi in cui tali pratiche sono più radicate, la discussione ha rivelato altre frizioni in seno all’assemblea. L’Unione europea ha espresso forti perplessità, sottolineando — per voce del delegato polacco intervenuto a nome dei 27 Stati membri — che “in tempi difficili per l’organizzazione, segnati da sfiducia e ostruzionismo, è cruciale ribadire l’importanza della medicina basata sull’evidenza e della lotta alla disinformazione”. L’Ue ha chiesto con fermezza che l’Oms sia “chiara e netta nel condannare pratiche inefficaci o dannose che possano mascherarsi da medicine alternative”.

UN APPROCCIO BASATO SULLE EVIDENZE

La stessa strategia cerca un equilibrio non semplice: riconosce il valore delle conoscenze tramandate, ma impone che ogni forma di integrazione nei sistemi sanitari avvenga “solo se validata scientificamente”. Un principio che, pur condivisibile, pone un problema strutturale. Molte delle pratiche tradizionali sono rimaste escluse dalla ricerca clinica e senza un corpus di studi che ne certifichi efficacia e sicurezza. In questo senso, la costruzione di una vera base di evidenze sarà una sfida lunga e complessa.

STRATEGIA CARA ALLA CINA

Sullo sfondo, si muove anche la Cina, da tempo protagonista nel promuovere la medicina tradizionale anche come strumento di influenza geopolitica. A fine 2024 Pechino ha ospitato, in collaborazione con l’Oms, due eventi chiave sul tema. Durante la Conferenza mondiale sulla medicina tradizionale, il presidente Xi Jinping, in una lettera letta da Yin Li, segretario del comitato municipale di Pechino del partito comunista cinese, ha ribadito l’obiettivo di “modernizzare e industrializzare” la medicina tradizionale cinese e favorirne l’adozione globale. La Dichiarazione di Pechino, adottata al termine dell’incontro, celebra queste pratiche come patrimonio culturale universale, ma al tempo stesso può essere interpretata come tassello di una più ampia strategia del Paese. Come ha osservato Nadège Rolland, esperta di Cina presso il National bureau of asian research (Nbr), in un paper pubblicato lo scorso dicembre, la Health silk road – ramo della Belt and road initiative incentrato sulla cooperazione sanitaria globale – rappresenta anche un atto di “nazionalismo culturale”, che propone “la saggezza e l’esperienza cinese come alternativa ai modelli occidentali”. Un’ambizione che oggi si intreccia con il ruolo dell’Oms, costretta a tenere insieme esigenze culturali, rigore scientifico, necessità finanziarie e spinte geopolitiche.

UN CONTESTO FINANZIARIO DIFFICILE

L’Organizzazione mondiale della sanità si trova infatti a fronteggiare un disavanzo di bilancio di 1,5 miliardi di dollari, nonostante abbia già ridotto le proprie spese di quasi un quarto. È dei giorni scorsi è la notizia secondo cui la Cina contribuirà con ulteriori 500 milioni di dollari in cinque anni, come annunciato dal vicepremier del Consiglio di Stato Liu Guozhong a Ginevra. Un’iniezione di fondi significativa, che arriva mentre l’agenzia cerca nuove risorse per compensare il ritiro del suo principale finanziatore, gli Stati Uniti. Non sorprende infatti che nella stessa iniziativa, l’organizzazione si sia limitata a invitare i Paesi membri a investire nella ricerca nell’ambito della medicina tradizionale integrandola nelle rispettive agende scientifiche nazionali prevedendo linee guida generali ma non contemplando, tuttavia, specifici finanziamenti.


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