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L’Oms vara il trattato pandemico. Un’intesa che non mette tutti d’accordo

Dopo tre anni di negoziati, l’Assemblea mondiale della sanità ha adottato l’accordo pandemico dell’Oms: un’intesa che ambisce a rilanciare il multilateralismo sanitario, ma che nasce in un contesto geopolitico diviso e con un sostegno politico tutt’altro che compatto. Secondo Vella (Università Cattolica di Roma), “ci sono ancora molte questioni irrisolte”, mentre Pavone (Cnr) spiega: “tre i pilastri: prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie”

È stato approvato questa mattina dall’Assemblea mondiale della sanità l’accordo pandemico dell’Organizzazione mondiale della sanità, frutto di tre anni di negoziati post-Covid. Il testo è stato adottato con 124 voti favorevoli e 11 astensioni, ma a pesare sono soprattutto le 46 assenze: tra queste, quelle degli Stati Uniti di Donald Trump – che ha annunciato il ritiro dal consesso multilaterale già a gennaio – e dell’Argentina di Javier Milei, che ha annunciato di voler seguire lo stesso copione. Robert F. Kennedy Jr., segretario alla Salute Usa, intervenuto via video ha commentato duramente: “L’accordo rafforza tutte le disfunzioni della risposta pandemica dell’Oms. Non intendiamo partecipare a questa iniziativa”. Ha poi rilanciato la proposta di una “nuova era di cooperazione internazionale in ambito sanitario, scevra da influenze politiche”.

GHEBREYESUS: UN’INTESA STORICA

Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha definito l’intesa “storica”, sottolineando come rappresenti “una vittoria per la salute pubblica, la scienza e il multilateralismo”. Tra le misure previste, l’impegno dei produttori farmaceutici a riservare il 20% delle forniture di vaccini, test diagnostici e terapie all’Oms in caso di una futura pandemia, per garantire l’accesso ai Paesi più fragili.

TRE PILASTRI

“Il trattato poggia su tre pilastri – ha spiegato Ilja Richard Pavone, ricercatore senior in Diritto internazionale presso il Consiglio nazionale delle ricerche, a Healthcare Policy per Formiche.net – prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie. Tra gli aspetti fondamentali, l’inserimento del principio one health in un trattato giuridicamente vincolante – anche se con obblighi in parte attenuati e senza misure incisive, ad esempio sui wet market. È importante inoltre sottolineare come il testo riaffermi il rispetto della sovranità nazionale in materia sanitaria”.

LA POSIZIONE ITALIANA

Sulla questione della sovranità, infatti, il trattato specifica chiaramente che “nulla nel presente accordo pandemico può essere interpretato come una delega all’Oms o al suo direttore generale per imporre misure nazionali o interne, quali obblighi vaccinali, chiusure o restrizioni ai viaggiatori”. La formulazione sembra essere stata apprezzata dall’Italia che, già nella dichiarazione di voto in Commissione, aveva chiarito l’intenzione di “ribadire la propria posizione in merito alla necessità di riaffermare la sovranità degli Stati nell’ affrontare le questioni di salute pubblica. Apprezziamo che questo principio sia stato incluso nel testo dell’Accordo sulla pandemia”. Una posizione che, insieme all’astensione, segnala prudenza da parte dell’Italia nei confronti dell’accordo.

UN EQUILIBRIO PRECARIO

L’equilibrio politico emerso dall’approvazione evidenzia tuttavia un vuoto strategico. Con il disimpegno statunitense, l’Oms si trova in una situazione di incertezza finanziaria e di leadership – ed è proprio la sostenibilità dei finanziamenti che si rappresenta uno dei temi principali dell’Assemblea di quest’anno, con la previsione di un aumento del 20% delle quote obbligatorie per i Paesi membri nei prossimi due anni. In questo spazio si inserisce la Cina che potrebbe diventare il principale donatore statale. Il vicepremier Liu Guozhong ha infatti annunciato un contributo aggiuntivo di 500 milioni di dollari in cinque anni per sostenere l’agenzia. “Bisogna comunque riconoscere che – soprattutto considerando che gran parte dell’industria farmaceutica ha sede negli Stati Uniti – un trattato globale per la prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie, che includerà anche un meccanismo di access and benefit sharing, nasce con difficoltà evidenti in assenza proprio degli Usa. A questo si aggiunge l’assenza di altri attori chiave come la Russia”, ha osservato Pavone.

ANCORA NODI IRRISOLTI

“Nonostante l’ampia approvazione, molti Paesi sembrano non aver ancora compreso la lezione del Covid”, ha dichiarato a Healthcare Policy per Formiche.net Stefano Vella, professore di Salute globale presso l’Università Cattolica di Roma. “Ci sono ancora molte questioni irrisolte. Dobbiamo prepararci non solo a nuove malattie, ma anche alla ricomparsa di patologie già conosciute, come l’aviaria che potrebbe fare a breve il salto di specie”, ha poi aggiunto.

I PROSSIMI PASSAGGI

Il trattato non entrerà comunque subito in vigore. È ancora da negoziare l’annesso tecnico sullo scambio dei dati genetici dei patogeni (Pabs), su cui le trattative riprenderanno a luglio. Proprio su questi aspetti – accesso ai dati e distribuzione dei benefici – si giocherà la vera prova di tenuta dell’accordo. Infine, sarà necessaria la ratifica parlamentare da parte degli Stati. Il trattato sarà infatti aperto alla firma solo dopo l’adozione dell’annesso Pabs. Una volta raggiunte 60 ratifiche, entrerà in vigore. Si tratta dunque di una procedura articolata tutt’altro che conclusa.

LA RISPOSTA IN ITALIA

La risposta politica interna al nostro Paese è stata accesa. “Il testo ora, anche grazie agli interventi dell’Italia, è migliorato, ma ancora non a sufficienza. È stato giusto astenersi, anche in vista dei prossimi appuntamenti e negoziati”, ha dichiarato Marco Lisei, senatore di Fratelli d’Italia e presidente della commissione Covid. Di segno opposto il commento della deputata Federica Onori, segretario della commissione Affari esteri: “È grave che l’Italia abbia scelto l’astensione. È fondamentale rafforzare il coordinamento multilaterale”. “L’accordo è un atto di responsabilità collettiva, nato dalla lezione, duramente appresa, della pandemia”, ha affermato Letizia Moratti, eurodeputata del Partito popolare europeo e presidente della Consulta nazionale di Forza Italia. “Solo la cooperazione internazionale può difendere le popolazioni da rischi che non conoscono confini”, ha dichiarato Marina Sereni, responsabile Salute nella segreteria Pd, già viceministra degli Esteri.


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